Più che tra le rovine e le architetture fatiscenti nel caso, non unico, di Villa Arena siamo costretti a consultare soprattutto i documenti, fonti storiche, e bibliografie sterminate sull’argomento, per rievocare e conoscere le originarie sembianze del complesso. Certo, al di là di qualsiasi indagine parziale, la Villa, sita in Ercolano, è stata edificata a metà del Settecento, con una pianta a doppia “L” dentata, da un architetto tutt’ora ignoto, e rivista più volte secondo più ordini di gusto permeabili tra di loro (soprattutto per quanto riguarda i rifacimenti e le discontinuità del 1839-1840).
Nata come “Casino dei marchesi Arena” del primordiale ordine di scrittura strutturale ed architettonica ci resta solo una scala sagomata nel cortile con una ringhiera di ferro, in altre parole quasi nulla; ma questa non è tuttavia una pecca, (come nei casi degli stravolgimenti architettonici che interessano le Ville Vesuviane dei quartieri napoletani di Barra e San Giovanni a Teduccio), ciò ci ricorda che l’architettura è uno stato di cose sempre vivo, strutturato come un linguaggio stratificato che deve la sua ricchezza più alle sue contraddizioni che alle sue regolarità.
Come risulta dalla Mappa Carafa, del 1750, notiamo subito la simmetria dell’intera pianta con l’ingresso principale e il corrispettivo accesso ai giardini. Ai giorni nostri la facciata appare priva di fronzoli, sobria, ben definita nelle sue partiture, soprattutto dal portale in piperno, il quale sembra esserne lo spioncino da cui scorgerne il fulcro: i giardini. Il complesso è inoltre introdotto da un alto basamento listato con bugne lisce, un motivo a fasce con bugne angolari al primo piano, una facciata liscia al secondo, una serie di aperture con architravi curvi e triangolari (che sulla facciata sfociano in un’unica balconata con ringhiera in ferro battuto di gusto neo-classico che incornicia il fabbricato centrale sino ai lati di nord-ovest e a sud-est – che sovrastano con quest’ultima i due corpi bassi del pianterreno – ), da un androne con quattro volte a botte cassettonate e altamente suggestivo nei suoi lacunari esagonali, e da una scala in ferro del lato destro – per il tramite della quale si accede al cortile interno, da cui ne diparte una più piccola che sale ai giardini -, da volte a vela che sormontano gli ambienti del primo piano.
Una recente retrodeterminazione rispetto al fronte è stata ricavata dalla demolizione del tetto. “Dalle rotture dell’intonaco si leggono delle lunette preesistenti e occultate da rifacimenti nel corso degli anni”; nella parte desta dell’atrio segue una bellissima scala in piperno – con volte a botte e a crociera, con rosoni nello introdosso delle volte del pianerottolo – la quale è virtualmente rivolta ai giardini, oggi esauriti da innumerevoli colate di cemento.
Nell’opera del 1959 Ville vesuviane del Settecento, si fa presente come la Villa Arena fosse, coerentemente con il miglior antico gusto ercolanense e in controtendenza a qualsiasi winckelmanniana convinzione, tempestato di busti policromi (andati purtroppo perduti). Le sale interne erano ripiene di dipinti e mobili sontuosi, di cui neppure la Cappella attualmente conserva qualcosa. L’unica caratteristica sicuramente rimasta inalterata nei secoli è il portale in pietra lavica, non architravato ad arco ma con lesene e mensole al posto dei capitelli.