Risalente al magnifico anno della nostra rivoluzione repubblicana, al tempo in cui buona parte delle nostre più belle intelligenze scientifiche e filosofiche furono disposte a perdere letteralmente la testa (sul patibolo) per la costruzione di un popolo napoletano degno del suo nome, la Villa Lucia ad Ercolano irretisce la nostra curiosità per svariati motivi. Il primo e più importante è che non si sa quasi nulla della sua storia, rispetto alle altre Ville Vesuviane.
Attraverso una fugace ricerca d’archivio si scopre che si ignorano sia la proprietà che storicamente la vollero edificata, sia l’architetto che la innalzò, sia i condizionamenti che più di altri la determinarono nelle sue stratificazioni.
Nonostante oggi ci appaia molto poco delle sue sembianze originarie, la Villa Lucia non scade in eleganza, e sensazionale è la visuale panoramica del Vesuvio che si apre a partire già dal portale d’ingresso. Come una cornice che non è da meno rispetto al dipinto, la Villa incornicia ciò che ci apre al visibile, e attraverso imponenti vesti in piperno e un androne con volta a botte avvolge lo sguardo di chi spia con occhio esercitato.
In fondo a tutto, al margine destro del prospetto posteriore dei giardini, si erge una torre a pianta ottagonale, dai lineamenti gentili alla vista con una cupola a sesto ribassato e pinnacolo con volute a pigna in pietra nera del Vesuvio. Come rimane ancora una volta per le domus pompeiane, negli attuali scavi, ciò che ci strappa al torpore delle linee ortogonali moderne e alle curve contemporanee delle archisculture del nuovo millennio, è il giardino.
Il giardino è in Villa Lucia il cardine della visione, il vortice originario che ci restituisce a reminiscenze settecentesche, e ci insegna nuovamente al chiasma del visibile-invisibile, ci riammaestra a vedere. Attraverso un lungo viale si giunge a un tipico cancello in ferro, incardinato da piedritti con lesene doriche e decorazioni in stucco. Il cortile e il giardino sono ciò che restituiscono la dialettica ancora magmatica dell’intero complesso, e la perizia con cui le forze intelligenti (che hanno guidato la squadra e il compasso, il filo a piombo e il martello, il pennello e lo scalpello, il piccone e il mattone) hanno operato. Le aperture ad oculo, incorniciate e sistemate sotto l’androne e il sedile di pietra collocato al centro, simulano l’apertura di un vano. Lo sguardo del visitatore termina tutto nel risucchio della visione di un edicola votiva, con timpano triangolare e statua di San Gennaro.
Ancora una volta è nelle opere minori che le costanti dialettiche di un’epoca vengono restituite più fedelmente. Come Il Dramma barocco tedesco di Benjamin ci informa, anche gli esempi di maniera presentano delle forti cariche espressive e spunti di riflessione per nulla banali.
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