Nel Regno di Napoli il termine lazzaro non è sempre esistito, solo dalla rivolta del 1647 inizia a circolare. Non ci sono testi precedenti a essa che testimoniano una nascita meno recente, per esempio non troviamo nessun riferimento nel “Forastiero” di Giulio Cesare Capaccio quando descrive la società napoletana.
Da dove deriva un simile termine? Benedetto Croce rimanda a due possibili scelte. La prima si rifà alla citazione del “Diario” di Capecelatro e secondo lui è la più plausibile, cioè che sia un termine di origine spagnola: laceria. Esso serve per identificare una persona lebbrosa o povera, un termine utilizzato ad hoc dagli spagnoli per denigrare i popolani in rivolta del 1647, ma i popolani non conoscendo il significato si sentono inorgogliti nel fregiarsi di un simile nome e perciò si fanno chiamare così.
L’altra meno plausibile si rifà all’idea di Galliani che il termine sia tutto italiano e rimanderebbe a san Lazzaro, protettore dei lebbrosi. Questo perché l’abbigliamento tipo del popolano è molto vicino al lebbroso. Dunque essendo quest’ultimo legato a san Lazzaro, tutti i poveri sono indistintamente denominati lazzari.
Al di là del nome, questi poveri napoletani sono anzitutto individuati nell’area del Lavinaio, poi che sono armati. Essi possiedono apposite armi: archibugi e uncini che servono a disarcionare gli spagnoli dai loro rispettivi cavalli. Il loro vestiario è costituito da cappello alla marinara, sono a piedi nudi e indossano camicie. Durante il periodo caldo della rivolta, lo storico Franco Benigno nel suo testo “Specchi della rivoluzione” nota che l’abbigliamento dei lazzari assume un’importanza ideologica. Per esempio Masaniello non utilizza i berretti dello stesso colore e solo nel momento caldo della rivolta utilizza il berretto rosso, simbolo di guerra.
Ritornando a Croce, alla fine della rivoluzione il termine lazzaro perde la sua fama e solo dalla fine del Settecento ritorna a essere presente nei testi. I lazzari in questo periodo svolgono un ruolo importante alla difesa di Napoli contro l’invasione dei francesi.
Un simile termine è associato a persone che si dedicano esclusivamente all’ozio. Il lazzaro medio sarebbe un selvaggio che non vuole fare nulla né ama riflettere. Girano poi tante leggende su di loro, per esempio che si organizzano per nominare un capo popolo e il Re deve scendere a patti.
Anche Goethe va a Napoli perché affascinato delle dicerie sui lazzari, però poi quando sonda il terreno capisce della loro inesistenza. Viceversa ci sono povere persone che si riposano dopo il duro lavoro e altre invece vanno a caccia di un lavoro. Accanto a quest’immagine severa, il musicista Pino Daniele aggiunge un tocco di ottimismo nella sua canzone “Lazzari felici”.
Fonti:
– F. Benigno, Specchi della rivoluzione, Donzelli, Roma, 1999;
– B.Croce, Aneddoti e profili settecenteschi, Remio Sandron, Napoli 1914;