17 Marzo 1861, Unità d’Italia: perché il Sud non deve festeggiare
Mar 17, 2014 - Redazione
Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II
17 Marzo 1861: Unità d’Italia. Il giorno che secondo l’epopea risorgimentale ha liberato la penisola italica, e in special modo il Meridione, dallo straniero invasore ed oppressore per dare vita a un Regno libero, guidato dal piemontese Re “galantuomo” Vittorio Emanuele II. Formato grazie alle abilità politiche del conte di Cavour e a quelle militari dell’eroe dei Due Mondi, Giuseppe Garibaldi, l’uomo che a capo di mille uomini e 3 cannoni riuscì a sbarcare in Sicilia e da lì fece capitolare strada facendo, e nel giro di pochi mesi, il Regno delle Due Sicilie con il suo esercito di 30.000 effettivi: un’autentica impresa, o forse c’è bisogno di integrare il racconto con qualche altra informazione?
Il Regno delle Due Sicilie, lungi dall’essere una nazione arretrata e governata dallo straniero, era uno Stato legittimo, sovrano e indipendente sin dal 1734-35, quando era ancora diviso nelle due corone di Napoli e Sicilia. Con i Borbone, il Sud divenne insieme all’Inghilterra e alla Francia il Paese più florido d’Europa, la meta finale e più preziosa del Gran Tour che fece dire a Stendhal nel 1817: “In Europa ci sono due capitali: Parigi e Napoli”.
Le Due Sicilie vantavano vari primati, tra cui la costruzione della prima ferrovia italiana, la prima illuminazione a gas in una città italiana, il primo ponte sospeso in ferro in Italia, la prima fabbrica di locomotive e materiale ferroviario d’Italia, la prima Nazione a effettuare la raccolta differenziata e a costruire edifici antisismici, il primo osservatorio astronomico italiano.
I Borbone, inoltre, costruirono il più antico teatro operistico del mondo ancora attivo (il Real Teatro di San Carlo), la Reggia di Caserta, quelle di Portici e di Carditello, portarono alla luce gli Scavi Archeologici di Ercolano e Pompei, fondarono il conservatorio di San Pietro a Majella, l’Albergo dei Poveri, la Fabbrica di Capodimonte per le porcellane, le prime cattedre di astronomia ed economia, e… dopo aver terminato questo articolo, continuate a leggere qui.
Si capisce che una nazione, vantando così tanti orgogli, opere del genio del suo popolo e dei governi che le incoraggiavano, non potesse essere così arretrata come oggi comunemente si pensa. Il Regno delle Due Sicilie non era certo un paradiso, anzi era ben lontano dall’esserlo, tuttavia c’è da dire che le altre nazioni europee non se la passavano meglio. Il problema risiede nel fatto che si giudica con i parametri di oggi uno stato caduto nel 1861, non tenendo a mente che molte delle problematiche dell’allora regno borbonico erano presenti altresì in altri Paesi europei. Basti pensare a Charles Dickens e alle sue descrizioni delle impietose condizioni in cui versava la popolazione inglese nell’Ottocento.
Il reame savoiardo decise di invadere, senza dichiarazione di guerra, il Regno di Francesco II. Cugino di Vittorio Emanuele II il giovane re Borbone era appena salito al trono, prima di quanto fosse previsto, per la morte prematura di Ferdinando II suo padre. Vittorio Emanuele II fece passare come “autonoma” dalla politica sabauda la spedizione dei mille, mentre giurava amicizia a “Francischiello” e condannava le operazioni di Garibaldi.
Nel frattempo venivano corrotti i generali ed alti ufficiali dell’esercito duosiciliano, i quali ordinavano ai propri soldati di arrendersi: ad esempio, circa 3000 soldati si ritirarono su ordine del generale Landi dopo aver quasi respinto gli uomini di Garibaldi, mentre in Calabria 10.000 uomini alzarono bandiera bianca senza sparare un solo colpo. Solo il popolo e i semplici soldati dimostrarono lealtà al legittimo re, sacrificando spesso la propria vita.
Garibaldi, arrivato nella capitale Napoli fu accolto dal prefetto Liborio Romano che mise a capo della polizia il camorrista Salvatore De Crescenzo, detto “Tore ‘e Crescienzo”, a cui fu affidato con i suoi uomini di mantenere l’ordine pubblico e supervisionare il plebiscito di annessione. La camorra, da fenomeno già esistente prima del 1861, di cui si servirono anche i sovrani borbonici per tenere sotto controllo le zone malfamate di Napoli, cominciò a quel punto il suo percorso di “istituzionalizzazione” e infiltrazione nei poteri di governo.
L’appoggio della malavita tuttavia l’eroe dei due mondi lo ebbe sin dall’inizio, quando in Sicilia si alleò con i “picciotti”. Lo stesso discorso fatto sulla camorra vale infatti anche per la mafia: i “mafiosi” altro non erano, infatti, che le guardie armate a difesa dei latifondi, ossia dei possedimenti dei proprietari terrieri. La stessa parola mafia, secondo Vincenzo Mortillaro nel suo Nuovo dizionario siciliano-italiano è una “Voce piemontese introdotta nel resto d’Italia ch’equivale a camorra”.
Giuseppe Garibaldi, successivamente, si pentì amaramente di aver fatto la campagna meridionale, rinnegando l’Unità d’Italia.
Perché invadere il Regno delle Due Sicilie? Non esistono adeguati fonti per spiegare le motivazioni di quanto avvenuto, ma soltanto delle supposizioni. Di certo il processo di unificazione non fu un movimento popolare, ma soltanto elitario, tanto che Massimo D’Azeglio ebbe a dire il celebre motto: “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”.
Secondo le più comuni tesi del revisionismo del Risorgimento, l’unità italia fu dettata da motivazioni di tipo economico. Il Regno di Sardegna era allora gravato da un enorme debito pubblico: le numerose guerre intraprese nei decenni precedenti avevano portato, infatti, il Regno di Sardegna sull’orlo del fallimento. Nel Mezzogiorno invece l’economia era diversificata e sotto controllo, un lungo periodo di pace aveva favorito la stabilità economica. Il solo Regno delle Due Sicilie possedeva, nel 1860, una quantità di oro pari al doppio dell’oro di tutti gli altri stati della penisola italiana messi insieme, 60 volte superiore a quello dei Savoia.
La Storia stravolta e nascosta non termina qui però, perché c’è il capitolo degli stermini. Con l’invasione savoiarda le città meridionali eccidiate furono più di 100, in cui persero la vita migliaia e migliaia di civili compresi bambini e donne le quali furono prima stuprate: tra le stragi più efferate ci sono quelle che furono condotte a Bronte, Montefalcione, Pontelandolfo e Casalduni. Gli inglesi, nemici delle Due Sicilie che appoggiarono la campagna sabaudo-garibaldina, rimproverano l’eccessiva ferocia degli invasori.
I soldati dell’ex esercito duosiciliano che oggi sarebbero definiti “partigiani”, furono allora etichettati come “briganti”, fuorilegge da mettere a morte e con i cui corpi senza vita e le teste mozzate si fecero fotografare i carabinieri e i bersaglieri. I fautori dei massacri, quali Cialdini e Nino Bixio (conosciuto come “la belva” tra i contadini del Mezzogiorno) furono autori di crimini contro l’umanità che lo Stato Italiano ha eletto a eroi e Padri della Patria. Oggi, a oltre 150 anni di distanza, si sta cambiando nome alle strade intitolate al generale Cialdini, e non solo nel Meridione: Mestre, infatti, fu uno dei primi comuni ad approvare una delibera che cambiava nome a una piazza a egli intitolata.
Dall’unificazione in poi ebbe inizio il declino sociale ed economico del Mezzogiorno: Sicilia, Calabria e Puglia erano le prime 3 regioni della penisola per numero di operai nel 1860, oggi sappiamo in che condizioni si trovano. Nacque la questione meridionale per risolvere la questione settentrionale.
“Quando fu fatta l’unità d’Italia noi in Sicilia avevamo 8000 telai, producevamo stoffa. Nel giro di due anni non avevamo più un telaio. Funzionavano solo quelli di Biella. E noi importavamo la stoffa. E ancora oggi è così”. Così si è espresso Andrea Camilleri in un articolo apparso su L’Unità del 21 gennaio 2008.
Queste sono le parole Fëdor Michajlovič Dostoevskij sull’appena nato Regno d’Italia: “Per che cosa possiamo congratularci con l’Italia, che cosa ha ottenuto di meglio dopo la diplomazia del conte di Cavour? È sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, […] un regno soddisfatto della sua unità, che non significa letteralmente nulla, un’unità meccanica e non spirituale e per di più pieno di debiti non pagati e soprattutto soddisfatto del suo essere un regno di second’ordine. Ecco quel che ne è derivato, ecco la creazione del conte di Cavour!”.
Ecco un ritratto allora diverso dell’Unità d’Italia, un ritratto che porta alla mente quello letterario di Dorian Gray, opera di Oscar Wilde, il cui viso dipinto riporta i segni di tutte le brutture e le corruzioni e che il suo proprietario nasconde così sotto un telo, per non renderlo visibile: come Dorian Gray, anche l’Italia deve finalmente squarciare un quadro fatto di menzogne. Solo rendendo giustizia alla Storia si può guardare avanti, solo riconoscendo gli errori del passato si può superare la rivalità tra Nord e Sud. Un Sud che merita, e deve pretendere, un risarcimento soprattutto morale e il riconoscimento di quanto abbia perso grazie a un’Unità d’Italia fatta male. L’unificazione forse sarebbe avvenuta lo stesso, sorretta dalla volontà popolare e non fondata su violenza e soprusi.