“Dieci anni della mia vita pur d’essere lo scultore del Cristo Velato”. Questa frase è stata attribuita da molti al celebre Antonio Canova, quando nel 1780, si trovò ad ammirare la più importante scultura di Giuseppe Sanmartino. Situato all’interno della Cappella Sansevero, uno dei musei capolavoro di Napoli, vi è il ritratto scolpito del Cristo morto, a grandezza naturale, adagiato su un giaciglio, la testa reclinata su due cuscini, ai piedi gli strumenti del supplizio, la corona di spine, una tenaglia e i chiodi. Fin qui sembra di aver descritto una delle tante sculture rappresentanti il suo martirio. Ciò che rende ancora più suggestiva quest’opera d’arte, realizzata nel 1753, è il velo che ricopre il corpo inerme di Cristo. Ogni increspatura, ogni spessore, muscolo e quasi anche la sofferenza provata prima di morire può essere intravista tra le pieghe del sudario. Quasi come se questa scultura fosse stata realizzata dinanzi al corpo ancora palpitante appena tirato giù dalla croce.
Ma perché il grande Canova, scultore di opere del calibro di “Amore e Psiche”, conservata al Museo del Louvre di Parigi, e “Paolina Borghese”, tenuta nella Galleria Borghese di Roma, invidiava a tal punto Sanmartino? Ciò che rende ancora più emozionante la realizzazione del Cristo Velato è l’età del suo autore. Quando l’artista napoletano lo realizzò aveva solo trentadue anni. Inoltre era poco conosciuto e non aveva creato fin a quel momento alcun’opera di grande rilievo. Fu la sua amicizia con Raimondo di Sangro a procurargli questo lavoro. Il nobile, infatti, aveva precedentemente commissionato il capolavoro al veneziano Antonio Corradini che aveva già scolpito per il principe la “Pudicizia”. Quando Corradini morì nel 1752, realizzando solo un bozzetto in terracotta del Cristo, conservato oggi nel museo nazionale di San Martino, il nobile decise di affidarlo all’amico Sanmartino.
Alcuni raccontano che lo scultore riuscì a scolpire una tale opera solo dopo essere stato ipnotizzato, ovviamente, da Raimondo di Sangro. Il principe riuscì a ipnotizzarlo con l’aiuto del diavolo e successivamente accecò il povero Sanmartino per impedirgli di realizzare per altri un simile capolavoro. Secondo molti il Cristo Velato non fu tutta opera dell’artista napoletano. Si narra che la trasparenza dello splendido sudario sia frutto di un processo alchemico di marmorizzazione, compiuto proprio del principe di Sansevero. Una leggenda alimentata dall’enigmatica presenza delle Macchine anatomiche, risalenti al 1763, che conservano il sistema artero-venoso quasi perfettamente conservato. Una variante riporta invece che il nobile insegnò al giovane scultore le segreti arti di trasformazione dei materiali permettendogli così di realizzare un’opera unica al mondo. In realtà è stato dimostrato che il Cristo Velato è un’opera interamente di marmo, ricavata da un unico blocco di pietra. Lo rivelano alcuni documenti scritti dallo stesso principe. Tra questi anche una ricevuta di acconto di cinquanta ducati firmata da Raimondo di Sangro per Sanmartino. Nel pagamento, elargito il 16 dicembre 1752, il nobile scrive: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il nobile descrive il velo come “realizzato dallo stesso blocco della statua”.
Fonti: Fabrizio Falconi, “I monumenti esoterici d’Italia”, Newton Compton, Roma, 2013
Giuseppe Ortolano, “1001 cose da vedere in Italia almeno una volta nella vita”, Newton Compton, Roma, 2013
Paola Giovetti, “L’Italia dell’insolito e del mistero: 100 itinerari diversi”, Mediterranee, Roma, 2001
Sito della Cappella di Sansevero