Video. La Taranta e il morso magico guarito dalla musica

Il morso della taranta - Foto di archivio bridgepugliausa.it


“La Taranta è il ragno mitico, in sè innocuo, che morde simbolicamente e da con il suo veleno turbamenti fisici e dell’anima. Il tarantismo, il male del cattivo passato che torna e continua il suo tormento, ebbe origine dalla contaminazione di riti orgiastici e iniziatici pagani fra l’800 e il 1300. Ha avuto ed ha diversa cronaca dell’anno 1700 quando la Chiesa, alla speranza degli invasati per una liberazione, sostituisce l’immaginazione di San Paolo.”

Ernesto De Martino

Esiste un Sud, perlopiù sconosciuto ed occulto, fatto di credenze straordinarie e grottesche nelle quali confluiscono religione e magia, poteri soprannaturali e malesseri dell’anima. Un Sud arso dalla forza devastatrice di un sole che batte impietoso e implacabile sulla terra rossa che sa di mare, sudore e vita contadina. Un Sud fatto di schiene piegate dal duro lavoro dei campi, in cui non vi è spazio per dubbi e tormenti lasciati a sonnecchiare, silenziosi e irrisolti, nel profondo delle viscere.

È in questo Sud che va rintracciato il fenomeno del Tarantismo portato alla luce da Ernesto De Martino: “etnografo vagante nel Mezzogiorno d’Italia” (come amava definirsi egli stesso), nel quale è possibile ravvisare tutto il fascino di una cultura contadina, primitiva ed arida, eppure ricca di un’ umanità forse oggi perduta.

Il Tarantismo si inscrive in quell’ambiguo mondo fatto di superstizioni in cui diventa impossibile scindere la scaramanzia dalla religione, la medicina dalla leggenda, trasformandosi così in fenomeno locale, irriproducibile e unico. Secondo alcuni il termine deriva dalla città di “Taranto” che per prima ospitò i “Tarantati” (uomini e donne bisognosi di una guarigione dell’anima più che del corpo) nonostante il fenomeno trovò massima espressione nelle zone del leccese.

tarantata

I protagonisti di questa strana “malattia” erano perlopiù donne (ma anche uomini) convinte di essere state morse da un ragno (tarantola o taranta, conosciuto nel mondo scientifico con il nome Ischnocolus) che le rendeva vittime di una sindrome spastica che colpiva ogni muscolo del corpo. I sintomi si presentavano con dolori addominali, lunghi stati di catalessi, palpitazioni, sudorazione, stati di assenza e convulsioni, accompagnati da gemiti e guaiti.

L’unico modo per liberarsi dal veleno era quello di abbandonarsi ad una danza sfrenata fatta di capriole, saltelli, movimenti sconnessi e ritmati ripetuti fino allo stremo delle forze.

Come si legge in un saggio pubblicato sul blog enricopantalone.com: “Questo rituale coniuga sia elementi pagani che cristiani” articolandosi in un complesso “esorcismo” che poteva durare anche giorni. Per guarire dal veleno i soggetti dovevano danzare al ritmo di un’orchestrina formata dai musici del paese che prevedeva l’utilizzo di strumenti tipici quali il tamburello, il violino, l’organetto, l’armonica e la chitarra.

Per ogni orchestra, dodici musiche diverse a seconda del tipo di morso. Il rito prevedeva l’intonazione di diverse melodie fino ad individuare quella giusta, ovvero quella che avrebbe finalmente scatenato la giusta reazione, dando vita al ballo di purificazione.

In questo stato di assenza momentanea i “Tarantati” potevano dar sfogo pubblicamente ad ogni frustrazione, assumendo senza conseguenza alcuna, atteggiamenti bizzarri altrimenti ritenuti inaccettabili dalla società dell’epoca. In realtà durante il rito, l’intera comunità si stringeva intorno al soggetto facendo gruppo, accogliendo il dolore di uno trasformandolo nel dolore di tanti: ” È il gruppo che permette alla donna di guarire, oltre che la danza, poiché sostiene il rituale, ci crede, si ferma nella sua attività per tutto il tempo necessario al rito, modificandosi  in rapporto al soggetto per farlo guarire. Se la donna si sente alienata, il gruppo le permette di esternare il suo dolore durante il rituale, di accettarla nel gruppo e di aiutarla. In questo modo le donne guarivano e non venivano considerate “pazze”” scrive Leonella Cardarelli in un saggio sul tarantismo.tarantulae-salento-

In questo modo la comunità diventava motore di una catarsi indispensabile per quella guarigione dell’anima. Infatti, dagli studi di De Martino emerse una realtà fatta di grande dolore, di malesseri lontani e traumi mai risolti. “Il morso” altro non era che la manifestazione di un disagio profondo, spesso sconosciuto e celato, eppure così logorante da richiedere un’espiazione pubblica e condivisa.

Fu proprio questo il motivo che spinse la Chiesa, ad un certo punto, ad “impadronirsi” del fenomeno accostandolo così al Culto di San Paolo, trasformandolo nel corso dei secoli, in protettore delle “donne morse dal ragno”.

La bibliografia sull’argomento è sterminata e numerosi sono stati gli antropologi e gli intellettuali che hanno voluto toccare con mano questa fetta di Sud così complicata e bellissima, difficile da inquadrare, selvaggia e ribelle. Tra tutti, l’indagatore per eccellenza Ernesto De Martino che fece, della “Terra del Rimorso” il suo grande obiettivo di vita.

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