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L’esplosione della Caterina Costa. Una tragedia dimenticata

Domenica 28 marzo 1943, alle ore 17.39, la motonave da carico Caterina Costa saltò in aria. Era una santabarbara galleggiante ormeggiata al molo 18 del porto di Napoli, non lontana dal rione di Sant’Erasmo, adibita al trasporto di materiale bellico tra il capoluogo campano e l’Africa del Nord. Di proprietà dell’armatore genovese Giacomo Costa, nel 1942, fu requisita dalla Regia Marina per essere utilizzata per i rifornimenti alle truppe belligeranti nel continente africano. Fece quattro viaggi e fu anche danneggiata in un attacco aereo alleato a Biserta. Approdata nella città partenopea si presentava come una polveriera sul mare. Carica di novecento tonnellate di esplosivo, carri armati, cingolati, munizioni, cannoni e più di mille tonnellate di benzina nelle stive, la nave diretta in Tunisia, fu molto probabilmente sabotata, ma fu vittima anche di superficialità e leggerezze. All’improvviso una colonna di fumo e di fuoco, che quasi poteva ricordare l’esplosione di una bomba atomica, si levò in cielo nonostante il prodigarsi fin dalle prime ore del mattino dei pompieri portuali e dei soldati.

L’onda d’urto, e non solo, investì Napoli. Dal porto partirono pezzi di nave, di cannoni e altro ancora, che arrivarono fino a piazza Garibaldi, Borgo Loreto, la Sanità, piazza Carlo III e ai Quartieri Spagnoli, provocando numerosi feriti. Fu colpita la Stazione Centrale dove alcune schegge appiccarono incendi ai vagoni in sosta, presero fuoco i Magazzini Generali e si dice che proiettili e detriti arrivarono fino al Vomero, alla collina dei Camaldoli, a Soccavo e a Pianura. La torretta di un carro armato si incastrò nel tetto del Teatro San Carlo dopo un volo di cinquecento metri, un pezzo di nave abbatté due fabbricati al Ponte della Maddalena, un altro si conficcò nel tetto di un palazzo di via Atri. Fu colpita anche una facciata del Maschio Angioino. Una lamiera veloce quanto un proiettile trafisse l’orologio della chiesa di Sant’Eligio ubicata nel centro storico della città a ridosso della zona di piazza Mercato. L’edificio gotico, costruito nel 1270, è la più antica costruzione di epoca angioina. Dopo circa settecento anni dalla sua creazione, dopo essere stato edificio di culto, educandato femminile e caserma, rischiò di essere distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale. L’ora dell’orologio si fermò nel momento dell’esplosione e ricominciò a contare i secondi solo nel 1991, anno in cui rientrò in funzione grazie a un restauro finanziato dall’associazione culturale Nea Ghenesis e dalla Parrocchia di Sant’Eligio Maggiore.

L’esplosione provocò circa tremila feriti e seicento morti tra cui molte donne e bambini che, mossi dalla curiosità, assistevano ignari del pericolo, alle operazioni di spegnimento. Non si conta invece il numero indefinito di persone che fu per un breve periodo di tempo, in forte stato di confusione dovuto alla paura e allo shock. I sismografi dell’Osservatorio del Vesuvio percepirono l’evento come un terremoto del quinto o sesto grado della scala Mercalli. Quello della Caterina Costa, fu solo uno dei terribili colpi che, compresi i cento bombardamenti che martoriarono Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale, segnò la storia della nostra città.

Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014

Sara Prossomariti, “I Signori di Napoli”, Roma, Newton Compton, 2014

La storia siamo noi, “L’esplosione della Caterina Costa”, Rai, 2012