Nel 1935 l’Italia del Duce si preparava a una guerra colossale “sui colli fatali di Roma era tornato l’Impero” e la marina italiana controllava le coste dell’Africa Settentrionale. Era l’Italia che si affacciava all’industria bellica e agli armamenti, delle innovazioni tecnologiche e delle colossali quanto propagandistiche “opere pubbliche” di regime. Motivi che spinsero, nel suddetto anno, a trasferire il silurificio italiano di Napoli di via Gianturco a Baia, così come raccontato da montediprocida.com. La vecchia ubicazione della fabbrica era troppo lontana dal siluripedio situato dal 1917 sull’isolotto di San Martino: nel siluripedio si sperimentavano nuovi ordigni, si collaudavano i nuovi, si svolgevano ricerche e si perfezionava la produzione. Era quindi necessario che silurificio e siluripedio fossero vicini e facilmente collegabili.
Il trasferimento della fabbrica a Baia avvenne sotto la direzione dell’Ammiraglio Eugenio Minisini, massimo esperto di armi militari subacquee, e il silurificio di Baia fu operativo nel 1939: i siluri partivano da Baia, imbarcati su dei pontoni e arrivavano a San Martino per essere collaudati e spediti al fronte. Il 1939 segnò anche lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e l’Italia si trovò trascinata nel conflitto da Mussolini. Così. per incrementare la produzione degli armamenti, un nuovo impianto fu costruito fra Baia e San Martino, a Fusaro. Una galleria di 1,3 km collegò i due stabilimenti terrestri, mentre un pontile e una galleria sotto Monte di Procida accelerò il passaggio dei siluri sull’isolotto.
Minisini aveva il pieno controllo delle strutture, al punto da svolgere ricerche e progetti personali e segreti. L’Ammiraglio fece costruire due modelli avanzatissimi di piccoli sottomarini da guerra, denominati SA: l’SA1, nome in codice Sandokan, e l‘SA2, Janez, una versione perfezionata del primo. Tuttavia le spie americane avevano scoperto i progetti segreti del genio bellico e, quando nell’ottobre del ’43 le truppe americane arrivarono e le basi furono distrutte, i progetti e i mezzi furono trafugati e portati al Nord. Nessuna spia, però, aveva mai avuto conoscenza della macchina da guerra più micidiale partorita dalla mente di Minisini: l’SA3, chiamato quasi scherzosamente “Kammamuri” (qua dobbiamo morire in napoletano”). Il sottomarino era stato costruito in un capannone nascosto di Fusaro, in pochissimi conoscevano l’esistenza del progetto, e rimase intoccato anche dal saccheggio delle truppe liberatrici. Purtroppo, durante un test, fu avvistato dalla marina inglese che controllava il Golfo di Napoli e affondato a largo di Capri. Come riconoscimento delle sue capacità, all’Ammiraglio Minisini fu concesso di collaborare con la marina degli USA, trasferendosi li con i suoi migliori ingegneri.