Il 24 ottobre dell’anno 79 d.C. il Vesuvio si risvegliò segnando nella storia della vulcanologia la più conosciuta e spettacolare eruzione che rase al suolo le città di Pompei ed Ercolano.
Una tragedia che venne preceduta nel 62 d.C da un violento terremoto premonitore che causò nell’area vesuviana il crollo di alcuni edifici e seri danni colpirono anche Napoli e Nocera. All’epoca l’accaduto non fu collegato all’attività eruttiva del Vesuvio ed è per questo che durante il periodo successivo alla catastrofe le case vennero ricostruite e la vita dei cittadini riprese in piena tranquillità.
Diciassette anni dopo, precisamente tra il 20 e il 24 ottobre, un forte sciame sismico colpì ancora una volta l’area vesuviana. Anche in questo caso gli abitanti ormai abituati al tremolio della terra non si lasciarono influenzare dalle scosse e ignari di tutto continuarono ad affollare Pompei ed Ercolano che il 25 ottobre del 79 d.C furono completamente sepolte sotto metri di cenere e lapilli.
Il risveglio del Vesuvio avvenne in tre fasi. La prima si ebbe intorno alle ore 13,00 del 24 ottobre quando si aprì un condotto vulcanico dopo il contatto tra il magma e l’acqua che scatenò una serie di esplosioni. Nella seconda fase sopra al vulcano si formò una colonna di gas che oscurò il sole e che fu accompagnata da ceneri e pomici bianche e grigie. Infine nell’ultima fase, avvenuta nella tarda mattinata del 25 ottobre, si portò a compimento la distruzione delle città circostanti.
Tra boati, cenere e lapilli qualcuno cercò di allontanarsi dalla città altri invece si limitarono a trovare riparo nelle proprie abitazioni. A Pompei poco dopo l’eruzione centinaia di persone morirono soffocate per i gas tossici, per il calore o uccise dal crollo dei tetti. A Ercolano invece la tragedia si consumò in particolar modo nella notte e alle prime ore del mattino del 25 ottobre quando dopo un’apparente pausa dell’attività eruttiva in molti preferirono tornare alle proprie case. Il materiale magmatico arrivò però in città con una velocità vicina ai 100 km orari e non risparmiò niente e nessuno compresi i pochi che provarono a salvarsi in mare i quali vennero travolti dalle fiamme e dall’acqua che iniziò a bollire. Dopo circa 25 ore di eruzione e duemila morti Ercolano, Pompei e gran parte di Stabia cessarono di esistere.
L’eruzione del 79 d.C, chiamata anche “eruzione pliniana”, venne descritta trent’anni dopo in due lettere indirizzate a Tacito scritte da Plinio il Giovane che visse in prima persona la tragedia: “Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna: nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami”.
La data dell’eruzione sarebbe inoltre documentata nelle stesse lettere di Plinio il Giovane dove si può leggere “nonum kal. septembres”, ovvero 9 giorni prima delle Calende di settembre (24 ottobre).