“L´ingresso nella grande capitale ha più del portentoso, che della realtà. Accompagnato da pochi aiutanti, io passai frammezzo alle truppe borboniche ancora padrone, le quali mi presentavano l´armi con più ossequio certamente, che non lo facevano in quei tempi ai loro generali. Il 7 settembre I860!”. La “grande capitale” è Napoli, “io” è Giuseppe Garibaldi e “il 7 settembre 1860” è la data in cui il generale fece il suo ingresso nella città partenopea mentre il re Francesco II di Borbone si recava a Gaeta per organizzare l’ultima resistenza. L’eroe dei due mondi arrivò a Napoli a bordo di un treno accompagnato da tutte le personalità che erano andate a Salerno per accoglierlo. In testa al corteo Liborio Romano, Ministro di Polizia e Salvatore De Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”, i cui uomini mantennero l’ordine pubblico. Dopo aver percorso via Marina, essere passato dinanzi il Maschio Angioino ed essersi fermato al Duomo per ascoltare il “Te Deum “e a Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito, per fare un breve discorso, Garibaldi si diresse fino a Palazzo Doria D’Angri, dal cui balcone proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo.
Questa data segnò l’inizio della fine. La fine del Regno delle due Sicilie e l’inizio del patto tra Stato e Camorra a Napoli. A sostegno di quest’ultima tesi le carte che dimostrano che il 26 ottobre 1860 Garibaldi pagò una pensione vitalizia di 12 ducati mensili a nome di Antonietta Pace, Carmela Faucitano, Costanza Leipnecher, Pasquarella Proto e Marianna De Crescenzo, le principali esponenti femminili della Camorra napoletana. Quest’ultima era sorella proprio di quel De Crescenzo che aveva camminato accanto a Garibaldi al suo ingresso a Napoli. Il losco personaggio aveva acquistato il ruolo di intermediario tra politica e camorra quando Liborio Romano per contrastare le sommosse nate sulla scia di quella siciliana del 1848 lo chiamò per chiedergli di radunare tutti i capi-quartieri della città e stipulare un patto di aiuto reciproco. Di De Crescenzo si racconta che avesse fatto sgozzare da una banda di camorristi Totonno ‘a Port’ ‘e Massa, il famoso contrabbandiere e capo del quartiere di Porto, quando si trovava all’interno delle carceri dell’antico castello della Vicaria. Ma Romano non reclutò solo “Tore”, già nel luglio 1860 altri camorristi furono nominati funzionari di polizia. Il ministro iniziava quindi a preparare l’accoglienza di Garibaldi dotando inoltre coloro che appoggiavano la sua causa di coccarda tricolore.
Non bisogna dimenticare, poi, che Romano fu anche corrispondente di Camillo Benso di Cavour e iniziò a mettersi in rapporti con l’eroe dei due mondi quando era ancora al servizio di Francesco II grazie all’apparecchiatura telegrafica che si era fatta istallare nel proprio gabinetto. In una lettera il conte addirittura lodava e riconosceva “l’illuminato e forte patriottismo e la devozione alla causa” che contraddistinguevano il ministro. Ovviamente per “causa” intendeva la creazione del Regno d’Italia. Entrato a Napoli, Garibaldi formò immediatamente un governo con a capo proprio Romano e come primo atto ufficiale cedette al Piemonte la potente flotta da guerra borbonica. Così come scriveva il condottiero arrivato in carrozza “cadeva l´abborrita dinastia che un grande statista inglese avea chiamato ‘Maledizione di Dio’! e sorgeva sulle sue ruine la sovranità del popolo”, o forse no.
Fonti: “Gli avvenimenti d’Italia del 1860”, Venezia, Cecchini Editore, 1860
Aldo Servidio, “L’imbroglio nazionale: unità e unificazione dell’Italia (1860-2000)”, Napoli, Guida, 2002
Alberto Consiglio, “La camorra a Napoli”, Napoli, Guida, 2005
Angelo Forgione, “150 anni fa entrava Garibaldi a Napoli”, 2010
Guido D’Agostino, “Garibaldi, 150 anni fa l’ingresso a Napoli”, in “la Repubblica Napoli”, 2010
Luciano Salera, “La storia manipolata”, Napoli, Controcorrente, 2009