29 ottobre 1268: Corradino di Svevia viene decapitato in Piazza Mercato
Ott 29, 2015 - Germana Squillace
La decapitazione di Corradino
“Carlo venne in Italia, e, per ammenda, vittima fe’ di Curradino, e poi ripinse al Ciel Tommaso, per ammenda”. Dante Alighieri nella sua Divina Commedia riesce quasi a riassumere la vicenda che vide coinvolti Carlo d’Angiò e Corradino di Svevia.
Quando si incontrarono le strade di questi due regnanti? Il primo, figlio del re di Francia Luigi VIII, dopo essere stato nominato conte di Provenza e di Forcalquer, aver partecipato alla Settima Crociata in Egitto, ottenne l’investitura di re di Sicilia. Il secondo, ultimo della casata degli Hohenstaufen, famiglia nobile tedesca originaria della Svevia, una regione della Germania, fu educato in Baviera dalla madre, era amante delle arti cavalleresche e dei tornei, come un qualunque altro nobile quindicenne della sua epoca. Chiamato in Italia dai ghibellini, iniziò la sua discesa verso il Sud con una piccola armata al seguito. Insieme al cugino Federico d’Austria, il giovane fu accolto trionfalmente prima a Verona, poi a Pisa, nell’agosto del 1268 arrivò fino al Fucino, in prossimità di Tagliacozzo, provincia dell’Aquila. Qui il nipote di Federico II di Svevia fu sconfitto dalle truppe guelfe. In un primo momento un cavaliere con le vesti e l’armatura del re francese fu ucciso, ma tolto l’elmo si scoprì che non si trattava di Carlo, ma di un suo soldato. Il numero esiguo degli uomini tedeschi, la delusione e gli ottocento cavalieri francesi che avanzavano, costrinsero Corradino e il cugino a scappare. I due si ripararono ad Astura, zona costiera del Lazio di proprietà dei nobili romani Frangipane. All’inizio Giovanni Frangipane li accolse, poi consigliò loro di lasciare il proprio maniero con l’aiuto di una barca per raggiungere una nave che li attendeva al largo. L’imbarcazione che diede il benvenuto ai due nobili era angioina. Frangipane li aveva tradito. Dopo un processo farsa, il 29 ottobre 1268, Corradino di Svevia e Federico d’Austria furono giustiziati, per mano di un boia che staccò loro le teste, fuori le mura di Napoli, a Campo Moricino, luogo poco lontano dal monastero degli eremiti e che oggi chiamiamo piazza del Mercato.
Il corpo dell’ultimo degli Hohenstaufen fu gettato prima in un fossato, come avverrà secoli dopo per Masaniello, e poi fu sepolto all’interno della chiesa del Carmine. La testa non fu mai più ritrovata. Nel 1670 la salma fu nuovamente rinvenuta grazie ad Ascanio Filomarino, arcivescovo di Napoli particolarmente devoto all’immagine della Madonna Bruna. Egli, proprio per poter meglio pregare l’icona della Vergine, chiese ai monaci di abbassare il calpestio della chiesa che era davanti all’immagine in modo da non vederla coperta dai sacerdoti che vi passavano dinanzi. E proprio durante i lavori fu trovata una cassa di piombo con le iniziale R. C. C.: Regis Coradini Corpus.
A metà dell’Ottocento, Massimiliano II di Baviera fece realizzare da Peter Schopf, all’interno della chiesa del Carmine, un monumento con i resti di Corradino su disegno del danese Bertel Thorvaldsen. Sulla lapide ai piedi del gigante Corradino, è scritto: “Qui giacciono Corradino di Stouffen, figlio dell’imperatrice Margaret e di Corrado re di Napoli, l’ultimo de’ duchi dell’Imperia casa di Svevia, e Federico d’Asburgo, l’ultimo de duchi d’Austria”.
Fonti: Raffaele D’Amato, “Le grandi dinastie che hanno cambiato la storia”, Roma, Newton Compton, 2014
Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014