Qualsiasi napoletano avrà passeggiato, almeno una volta nella propria vita, su e giù per quello che può essere considerato il più famoso lungomare d’Italia. Si tratta del lungomare di via Caracciolo che, immortalato in centinaia di cartoline spedite dai turisti ad amici e parenti, ha reso Napoli celebre nel mondo. Eppure, solo poche di quelle persone che ogni giorno calpestano via Caracciolo conoscono la vera storia dell’uomo cui essa è dedicata.
Avviato sin da piccolo alla carriera marinara, formatosi presso la Real Accademia di Marina e distintosi per le proprie qualità umane e militari, Francesco Caracciolo divenne presto il miglior marinaio che Napoli abbia mai conosciuto. Tuttavia, il futuro ammiraglio della Repubblica Partenopea, nato a Napoli il 18 Gennaio del 1752 da un’antica e nobile famiglia, diverrà vittima inesorabile di un triste destino.
All’indomani della rivoluzione francese, il generale Jean Étienne Championnet fu nominato comandante in capo dell’Armata di Roma che doveva proteggere la giovane Repubblica Romana contro le minacce del Regno di Napoli e della flotta britannica. Nonostante il proprio esercito si trovasse in netta inferiorità numerica rispetto a quello nemico, Championnet riuscì a battere l’esercito napoletano nella battaglia di Civita Castellana il 5 dicembre del 1798 e, appena nove giorni più tardi, riconquistò la città di Roma ripristinandovi la repubblica.
Nel mentre, in seguito alla disfatta di Civita Castellana, la corte borbonica entrò in agitazione e Lady Hamilton, moglie dell’ambasciatore inglese e amante dell’ammiraglio Nelson, suggerì a re Ferdinando IV e a sua moglie Carolina di fuggire in Sicilia. E in effetti, nonostante il popolo implorasse il re di non abbandonarlo, il 27 Dicembre del 1799 l’intera corte si imbarcò sulla nave Vaguard di Orazio Nelson, diretta a Palermo.
Francesco Caracciolo, sebbene amareggiato dalla decisione dei reali, legato alla corte borbonica da un giuramento cui non intendeva venir meno, a bordo della nave Sannita seguì questi ultimi nella propria fuga in Sicilia. Intanto Championnet, invaso il Regno di Napoli, riuscì a stipulare l’11 gennaio del 1799 un vantaggioso armistizio con il vicario del re. Tuttavia, non essendo state rispettate le condizioni poste, il 23 gennaio del 1799 il generale francese conquistò la stessa Napoli.
Circa due mesi più tardi, il 3 marzo del 1799, Francesco Caracciolo rientra a Napoli. Egli, infatti, aveva chiesto e ottenuto dal capo delle forze armate del regno, Giovanni Acton, il permesso di trasferirsi per breve tempo nel territorio della repubblica, giusto il necessario per sbrigare alcune faccende personali. Durante la sua permanenza a Napoli, Caracciolo cedette alle insistenze dei repubblicani che ipocritamente sostenevano la tesi del tradimento verso il popolo di Ferdinando IV, lo indussero ad allearsi con loro.
Ben presto, dopo una serie di azioni navali del Caracciolo che misero in grave difficoltà la flotta inglese, dal sud giunse l’Esercito della Santa Fede, meglio conosciuto come armata sanfedista, guidato dal cardinale Ruffo e rafforzato da moltitudini di briganti. La lotta si fece sempre più dura fino a quando i repubblicani dovettero chiedere la resa.
I patti firmati dal Cardinale Fabrizio Ruffo e dai rappresentanti delle potenze straniere prevedevano la totale incolumità di Francesco Caracciolo che, in seguito alla battaglia, si era ritirato presso il proprio palazzo di Via Santa Lucia. Tuttavia, l’ammiraglio Nelson non rispettò i patti e il 29 giugno del 1799 Caracciolo fu prelevato e condotto sulla nave Minerva dove venne sottoposto a una farsa di processo. Nelson, così come la propria amante Lady Hamilton, non fu soddisfatto della condanna all’ergastolo e chiese che il processo venisse ripetuto. Quella sera stessa Caracciolo fu impiccato e il suo corpo fu gettato in mare.
Il 10 Luglio dello stesso anno il cadavere di Caracciolo riaffiorò in superficie e urtò contro la nave che, proveniente da Palermo, riportava a Napoli Ferdinando IV e sua moglie. Il re, inorridito, inviò una scialuppa a recuperare il cadavere che, riportato sulla terra ferma, fu sepolto dagli abitanti del Rione Santa Lucia nella Chiesa di Santa Maria della Catena, all’epoca ancora lambita dalle acque del mare.