Isso, esse e ‘o malamente. È su questi personaggi che nasce una delle forma artistiche più sviluppate a Napoli e che, forse erroneamente, costituisce uno degli stereotipi maggiori della napoletanità. Ma a quale genere facciamo riferimento? Alla sceneggiata naturalmente. La sua nascita è ancora dubbia. Per alcuni nacque alla fine della prima guerra mondiale come risposta alla censura imposta dal Regime Fascista alle compagnie teatrali. Lo Stato, infatti, impose una tassa erariale aggiuntiva del due per cento sugli spettacoli di varietà.
Per altri la sua nascita è antecedente e prese forma nel 1916 con Pupatella, opera contenente i canoni primordiali della sceneggiata, scritta da Domenico Romano sulla canzone di Libero Bovio. Quasi contemporaneamente l’attore Roberto Zuccariello presentò al teatro Petrella di Napoli un altro lavoro ancora più simile alla futura sceneggiata, Ll’urdema canzone mia, dal titolo dell’omonima canzone di Vincenzo Russo, scritta nel 1904. Il genere fu però perfezionato dalla compagnia Cafiero-Fumo. Nel 1919 la comitiva Cafiero-Marchetiello-Diaz mise in scena al teatro Olimpia di Palermo un nuovo esempio di opera definita “canzone sceneggiata”. Il successo ottenuto portò il gioielliere Giosuè de Rosa a finanziare una compagnia detta “Napoli canta” incentrata sul comico Salvatore Cafiero e l’attore drammatico Eugenio Fumo. La comitiva mise in scena al Moderno di Torre Annunziata Surriento gentile, una versione più sfarzosa dell’opera palermitana che pose le basi della vera sceneggiata napoletana.
Ma qual era la caratteristica principale di questo nuovo genere teatrale? La forza identitaria, cioè la possibilità del pubblico di rivedersi nella scena creando una forte empatia con i personaggi. Le persone partecipavano attivamente alla storia mostrando il proprio dissenso o la propria approvazione alle azioni dei protagonisti. Dopotutto i temi sul quale si fonda ancora oggi la sceneggiata sono l’amore, l’onore, la passione, la gelosia, l’onore, il tradimento, i rapporti parentali e soprattutto la lotta tra il bene e il male. Queste emozioni sono incarnate nei personaggi principali: isso, esse e ‘o malamente appunto. Il primo è il protagonista positivo, giusto, produttivo e padre di famiglia, che possiede tutti i caratteri dell’uomo mediterraneo ideale. La virilità è la qualità che lo contraddistingue particolarmente. Lei è l’oggetto del desiderio, il motivo di scontro tra i due uomini, l’elemento che scatena la contrapposizione. Al tempo stesso è anche l’anello più debole dell’opera, la traditrice, colei che cedendo ai propri istinti può essere salvata solo dal vero maschio. È per la donna che l’uomo rischia di perdere il proprio onore. L’ultimo è un dongiovanni che, escluso dalla società e reputato un vile, si contrappone all’eroe incarnando tutti i lati negativi dell’animo umano. Una trama ricorrente è quella del detenuto che, tradito dalla moglie e da un amico, quando torna in libertà si fa vendetta da solo riconquistando il rispetto della collettività. La sceneggiata può finire solo con uno scontro tra isso e ‘o malamente. Ma prima di arrivare al termine subentrano inevitabilmente personaggi secondari che si schierano per l’eroe o l’antagonista: la mamma, il figlio e una personalità comica.
Ma a questo punto alcuni di voi penseranno che oggi con il termine sceneggiata si intende qualcosa di diverso. È sinonimo di esagerazione, teatralità, drammatizzazione eccessiva per qualsivoglia situazione. Queste eccezioni si devono all’uomo che ha portato questo genere teatrale sugli schermi televisivi: Mario Merola, ricordato come ‘o rre d’‘a sceneggiata.
Fonti: Pasquale Scialò, “La sceneggiata. Rappresentazioni di un genere popolare”, Napoli, Guida, 2002; Pasquale Scialò, “Storie di musiche”, Napoli, Guida, 2010; Anita Pesce, Marialusa Stazio, “La canzone napoletana. Tra memoria e innovazione”, CNR-ISSM, 2013