Fin dai tempi antichi in alcuni testi letterari protagonisti non erano gli uomini, ma gli animali. Celebri sono i componimenti di Esopo, scrittore greco vissuto nel VI secolo a. C., che all’interno delle sue “Favole” narrava di animali che agivano e parlavano come gli esseri umani con lo scopo di comunicare una morale. Effettivamente si faceva dire o fare agli animali ciò che era complicato o scandaloso attribuire agli umani. Alcuni di questi componimenti brevi furono riadattati anche dallo scrittore romano Fedro, particolarmente attivo nel I secolo d. C., e dal poeta francese Jean de La Fontaine, vissuto nel Seicento. Tra le “Favole” più note si ricordano “La volpe e l’uva”, “La cicala e la formica”, “La gallina dalle uova d’oro” e “La lepre e la tartaruga”. Molte di queste sono diventate così famose al punto da essere citate, nella cultura popolare, come veri e propri proverbi. In effetti sono numerosi i detti che hanno animali come protagonisti. Le caratteristiche principali delle bestie sono usate per mandare messaggi facilmente comprensibili. La fedeltà del cane, la voglia di libertà dell’uccello, la curiosità del gatto, la ripetitività del verso della cicala, la memoria dell’elefante, e si potrebbe continuare all’infinito.
In altri casi si fa riferimento al ciclo vitale che sfortunatamente spetta ad alcuni esemplari come recita il proverbio napoletano: “’A sciorta d’ ‘o piecuro, nasce curnuto e more scannato”, letteralmente “La sorte del capretto, nasce cornuto e muore sgozzato”. La “sciorta” è appunto la sorte, cioè un qualcosa che indipendentemente dal volere del protagonista accadrà inesorabilmente. Si fa poi riferimento alla natura estetica del capretto che nasce con le corna essendo così definito “cornuto”. Questo stesso termine attribuito a un uomo è però un’offesa poiché vuole indicare che è stato tradito dalla compagna. Il vocabolo acquista quindi un significato negativo. Alla fine si continua indicando la metodologia più diffusa per uccidere questo animale che solitamente muore “scannato” cioè sgozzato. Una fine che certo non si augura a nessuno.
Ma che cosa vuol dire quindi questo detto? Significa non avere avuto affatto fortuna in una determinata situazione così come non ha fortuna nella sua vita il capretto che nasce in cattività e che poi viene ammazzato.