La musica è uno dei caratteri distintivi di Napoli e, in generale, di tutte le popolazioni del Sud. In particolare in Campania vi è uno stile canoro che riprende i versi fatti dai mercanti per avvicinare i possibili acquirenti. Questa tecnica è detta “A fronna ‘e limone” che letteralmente significa “come le fronde, cioè gli arbusti, di limone”. Metaforicamente indica le parti del cibo che nessuno compra poiché non sono commestibili. Ed è per questo che i commercianti devono essere particolarmente bravi e persuasivi, così da vendere ai clienti merci che normalmente risulterebbero invendute perché inutili. L’espressione a fronna ‘e limone indica più precisamente un canto a distesa senza accompagnamento musicale, eseguito da due o più persone, particolarmente diffuso nei campi agricoli. I testi contenuti nelle “fronne” posso variare e riguardare diversi argomenti: amore, sesso, vendetta, disperazione, divertimento, sfida, morte. Le “fronne” venivano utilizzate anche come tecnica di comunicazione tra i detenuti e i loro parenti all’esterno delle carceri. Non era difficile, nel passato, sentire dei congiunti del condannato intonare questi tipi di canto all’esterno delle prigioni utilizzando un linguaggio oscuro e gergale che sfuggiva anche alla comprensione dei secondini: celebre, in ambito cinematografico, è il canto per Adelina che si trovava in carcere, nel film Ieri, oggi, domani con Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Un testo che rispetti le caratteriste dei canti a fronna ‘e limone è quello inciso e cantato da Marcello Colasurdo nel suo disco “E manco ‘o sole ce ‘a sponta” del 1997: “E mme, ‘e ppe, ‘e mme. ‘E mme, ‘e ppe, ‘e mme. Quatte aulive, chipparelli che aulive! L’ugliararo! Ammarielle vive come zo’! Comme zo’! Comme zo’! Ammarielle vive, comme zo’! Comme zo’! Comme zo’!”
Altro particolare canto tipico dei campani era il “canto a ffigliola” intonato, generalmente, per le feste dedicate alla Madonna, soprattutto quelle organizzate per la Madonna di Montevergine, la Madonna Nera e la Madonna di Castello. Meno melismatico, cioè con meno vocalizzi, e meno melodico delle “fronne”, si presta ad essere cantato sillabicamente e lascia molto più spazio all’improvvisazione degli esecutori. Era solitamente intonato, senza musica, dal capo-paranza e nella parte finale si aggiungeva il coro. Questo genere poteva essere cantato anche dall’innamorato che, nel mese di maggio, regalava alla donna amata una “perticella”, ossia un ramo tagliato al quale erano appesi vari doni e su cui era sempre messa un’immagine della Madonna. Una volta, specialmente a Napoli, il “canto a ffigliola” era anche tipico e rappresentativo della malavita locale e veniva utilizzato come campo di battaglia per i cantatori che si sfidavano dopo il pellegrinaggio a Montevergine. La competizione solitamente si faceva a Nola.
Un canto ancora diverso era la “tammuriata”, che univa alla voce anche la musica e il ballo. A differenza degli altri due stili è in endecasillabi e si interrompe ogni due versi con l’inserimento di espressioni gridate dal gruppo per dare maggiore incisività al testo. Dopo il cenno del capo-paranza i presenti danno il via alla coreografia che solitamente è caratterizzata da un cerchio. I movimenti fatti dai partecipanti richiamano a corteggiamenti, episodi erotici e lotte primordiali. Più il ritmo si fa frenetico, più i protagonisti tendono a lasciarsi andare in un vortice di musica ed energia.
Fonti: Franco Cambi, Fabio Tamburini, “Educazione e musica in Toscana”, Roma, Armando, 2006
Giovanni Pugliese Carratelli, “Storia e civiltà della Campania: Il Novecento”, Napoli, Electa Napoli, 1996