Un vecchio proverbio recita: “La vita è fatta di scale, c’è chi scende e c’è chi sale”. Forse questo detto non è mai stato più veritiero per i cittadini partenopei. Scrivere di Napoli, della sua storia, delle sue origini e dei suoi tesori, vuole dire inevitabilmente scrivere anche delle sue salite e discese. Tutte, o almeno la maggior parte, delle strade del capoluogo campano sono collegate fra di loro tramite alcune scalinate. Lunghe, brevi, ripide o più pianeggianti, con scalini alti oppure bassi. Le scale di Napoli raccontano vicende, custodite per secoli nelle pietre, che aspettano solo di essere raccontate.
La scalinata più antica di tutta la città è la Pedamentina. Poco più di quattrocento gradini collegano Spaccanapoli con il Vomero. La costruzione fu iniziata nel XIV secolo dagli architetti Tino di Camaino e Francesco de Vito per facilitare il trasporto dei materiali necessari alla costruzione della Certosa di San Martino. Inizialmente si presentava solo come una salita formata da alcuni tornanti, le scale furono aggiunte successivamente, probabilmente agli inizi del Cinquecento. Tra la prima e la seconda rampa di scale si trovava fino ad una trentina d’anni fa una fontana in ghisa. Percorrendo questa scalinata è possibile ammirare alcuni degli scorci più belli di tutta Napoli.
Collega il Vomero anche un’altra scalinata: il Petraio. Da via Annibale Caccavello giunge sino al corso Vittorio Emanuele attraverso una serie di palazzi liberty e balconcini fioriti. È conosciuta anche come l’Imbrecciata poiché è fatta di “vrecce” e cioè ciottoli. Inoltre è frequentata soprattutto da studenti che la percorrono per raggiungere la sede principale dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Una volta terminata questa scalinata, alcuni universitari scendono anche la rampa di Santa Caterina da Siena, che unisce piazzetta Cariati ai Quartieri Spagnoli, per poter accedere a una succursale del Suor Orsola. Sbocca nei Quartieri Spagnoli anche la scala di San Pasquale.
Il Corso Vittorio Emanuele è collegato al quartiere collinare anche dalla cosiddetta Calata di San Francesco, che parte da via Belvedere e attraversa via Aniello Falcone e via Tasso. Inizialmente arrivava fino al mare includendo anche via Arco Mirelli, ma poi l’ultimo tratto è stato trasformato in una discesa. Nel Settecento era chiamata semplicemente “via che discende a Chiaia”; il nome cambiò forse in virtù del convento di San Francesco degli Scarioni all’Arco Mirelli o di un complesso religioso dedicato a San Francesco di Paola.
Le scale di Sant’Antonio ai Monti uniscono invece il Corso Vittorio Emanuele con Montesanto, precisamente piazzetta Olivella. Prolungamento della seicentesca salita Cacciottoli, che partendo da Montesanto passa al di sotto di via Girolamo Santacroce, sbuca nei pressi di Piazza Leonardo e prosegue con gradinate che attraversano viale Michelangelo e giungono a ridosso di via Bonito, il nome di queste scale trae origine da una chiesa del luogo dedicata proprio a Sant’Antonio.
Congiunge invece il Real Orto Botanico, via Foria, con la Reggia di Capodimonte e l’Osservatorio astronomico borbonico, il Moiariello. La denominazione deriva probabilmente da “piccolo moggio”, cioè “un terzo di un ettaro”. La salita del Moiariello è sovrastata dalla Torre del Palasciano, palazzo tra il neogotico e il rinascimentale, costruito nel XIX secolo per volontà del medico Ferdinando Palasciano.
Ovviamente queste sono solo alcune delle oltre duecento scalinate, rampe, calate e gradinate che attraversano Napoli. Non resta che percorrerle per scoprire quali altri scorci nascondono.
Fonti: Agnese Palumbo, Maurizio Ponticello, “Il giro di Napoli in 501 luoghi”, Roma, Newton Compton, 2014
Renato De Frusco, “Facciamo finta che”, Napoli, Liguori Editore, 2004
Antonio La Gala, “Vomero. Storia e storie”, Napoli, Guida, 2004