Le ricerche del principe di Sansevero Raimondo di Sangro, oscillano tra vari campi di studio, dalla chimica alla filosofia, dall’esoterismo all’anatomia, vagando in quella terra misteriosa in cui si incontrano scienza ed occulto. Nell’eccezionale storia di questa figura turbolenta ed eclettica del XVIII secolo, una delle menti partenopee più estrose di quell’epoca, la linea di confine tra perfida stregoneria e sperimentazione alchemica è sottile e nebulosa. Vissuto in un tempo in cui si delineava il dibattito culturale che avrebbe dato forma alla rivoluzione illuminista, approfondì lo studio di materie quali l’araldica, la geografia, la retorica, la filosofia, la logica, la matematica e la geometria, le scienze naturali, l’idrostatica, l’architettura militare, la fisica e le lingue.
A Napoli, nel palazzo Sansevero, presero vita le sue brillanti invenzioni ed i suoi esperimenti, tra cui spiccano le inquietanti “macchine anatomiche”. Da menzionare sono anche la progettazione della carrozza marittima, una carrozza in grado di sfrecciare sulle acque del golfo; gli esperimenti sulla palingenesi, ossia la capacità di far rinascere un corpo dalle sue ceneri, o un misterioso farmaco in grado di far resuscitare i morti.
Altre “sperimentazioni fisiche”, meno note ma ben più enigmatiche, vennero condotte negli ambienti sotterranei della sua dimora, come le ricerche riguardanti il lume perpetuo. Questa scoperta del tutto casuale, avvenuta nel novembre del 1752, fu descritta nella lettera inviata da Raimondo di Sangro all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi ed in seguito, nel maggio dell’anno successivo, pubblicata sulle “Novelle Letterarie” di Firenze. La lettera era la prima di altre sette che vennero tradotte in francese e riunite in un volume indirizzato allo scienziato Jean-Antoine Nollet.
Lo scritto narrava del ritrovamento di un materiale combustibile che poteva bruciare costantemente e senza mai consumarsi e che venne spento solo accidentalmente dal Principe dopo oltre tre mesi (dal 30 novembre al 2 marzo 1752) dalla sua accensione. La sostanza era composta in parte da “fosfori” molli provenienti da ossa umane ed in particolare da quelle del cranio, in parte da sostanze non specificate. Va ricordato che in alchimia il cranio era il simbolo del caput mortuum, la materia prima dalla quale inizia la ricerca della Pietra Filosofale, che è lo scopo degli alchimisti operativi.
Di Sangro stesso descriveva la fiamma generata da questo lume, definendola “bella e viva” e paragonandola alle altre vampe naturali, come le candele di cera o le lanterne ad olio, rispetto alle quali era di dimensioni leggermente ridotte. Era desiderio del Principe, nel momento in cui il Cristo Velato fosse stato trasferito nella Cavea sotterranea della Cappella Sansevero, che due lampade perpetue lo illuminassero; ciò non avvenne mai poiché la Cavea non venne ultimata. Raimondo Di Sangro riteneva impossibile il paragone fra il suo lume perpetuo e i “lumi immaginari che si sono visti talvolta negli antichi sepolcri”, in quanto solo la sua forma di illuminazione era completa e perfetta.
Ha ripreso l’argomento in maniera più o meno esplicita anche in altri scritti come “Lume Eterno” contenuto in “Dissertazione su di una lampada antica trovata a Monaco” e “Lettera Apologetica”. L’ideazione del lume sembra essere l’ennesimo tentativo di Raimondo di Sangro di avvicinarsi all’eternità ed all’immortalità, da cui era ossessionato come mostrano altri suoi esperimenti (vedi le “macchine anatomiche”), e di stupire i posteri. Nonostante l’elevato contenuto esoterico delle lettere dello scienziato alchimista ci evidenzia la discutibilità delle sue argomentazioni, allo stesso tempo le accreditate fonti coeve delle nozioni chimiche e fisiche da lui citate per illustrare le sue teorie infittiscono il mistero attorno alla leggenda del lume perpetuo.
Fonti:
– museosansevero.it
– “Sul possibile significato esoterico degli scritti del Principe di Sansevero” di Paolo Galiano