Cultura

La Chiesa di Santa Maria del Faro. Gioiello affacciato sul porticciolo di Marechiaro

In una delle zone più suggestive di Napoli, ed esattamente sul porticciolo di Marechiaro, situato nel quartiere di Posillipo, sorge la Parrocchia di Santa Maria del Faro. Si tratta di un antico gioiello delle cui origini, tuttavia, non restano che poche e confuse notizie.

Stando a quanto dichiarato in alcune fonti letterarie sembrerebbe che la Chiesa di S. Maria del Faro, oggi affidata alla cura pastorale dei Padri Dehoniani, fosse anticamente una cappelletta e che poggiasse sulle rovine di un antico faro da cui la Vergine prese il nome.

L’autore di tale fonte letteraria specifica: “Che in questo sito fosse sorto un faro antico è riportato e confermato da Isidoro di Spagna, da vari altri scrittori e dal Giordano; la sua luce dirigeva le navi, che approdavano in questo luogo allora porto; indi demolito sorse su di esso la chiesetta, che s’intitolò S. Maria del Faro“.

L’edificio, opera barocca a navata unica e cappelle con piccoli pezzi di arredo proveniente da scavi romani, contiene anche alcuni resti della villa romana di Pausylipon, che la tradizione vuole sorgesse sul luogo dell’antico faro romano.

La Chiesa di Santa Maria del Faro, dopo che la maggior parte degli abitanti della costa s’era rifugiata sulla parte alta della collina, verso la fine del secondo secolo, perse molta della sua importanza e per molti dei secoli successivi, infatti, non si hanno notizie su come e da quale ordine religioso essa sia stata governata. Tuttavia, alcune tracce di insediamenti di monaci basiliani lungo le coste del capo di Posillipo, farebbero pensare che siano stati proprio questi ultimi ad aver mantenuto in efficienza la cappella sorta sulle rovine dell’antico faro.

Il 13 Marzo del 1631, Filippo IV di Spagna accolse l’istanza della potente famiglia dei Campanile, di cui un ramo s’era stabilito sulle terre di Posillipo, e concesse a Corrado Campanile il diritto di patronato sulla cappella.

Nel 1668, tale diritto fu affidato al canonico Valerio Ariguggi il quale abbandonò ben presto l’incarico a causa dello stato di degrado e delle difficoltà di accesso ai luoghi.

Seguì il patronato del Cardinale Alessio Caracciolo, nipote del Pontefice Clemente X. Tuttavia, anche quest’ultimo non tardò a cedere lo jus patronati alla famiglia Coppola la quale vantava antiche origini nobiliari ed era proprietaria di estesi feudi lungo la costiera amalfitana.

I Coppola, che avevano scelto di stabilirsi a Marechiaro, vi rimasero per oltre cinquanta anni. In seguito, verso la fine del XVII secolo, quando sui luoghi si estese la penetrazione incontenibile di Francesco Maria Mazza, essi alienarono a favore di costui gran parte delle loro proprietà ed anche il diritto di patronato sulla chiesa, che si presentava ormai in uno stato di decadenza e semi abbandono.

Francesco Maria Mazza, le cui proprietà confinavano con l’area su cui sorgeva la degradata chiesetta, ottenne dal Pontefice Innocenzo XI, nell’anno 1680, le autorizzazioni necessarie per demolire gran parte delle antiche strutture e per costruire su di esse un nuovo tempio. A compensarlo delle ingenti spese, una bolla papale gli assicurava il diritto di patronato laicale perpetuo su tali luoghi, per sé e per i suoi discendenti ed eredi.

Nonostante questo primo intervento di Francesco Maria Mazza, sono da attribuirsi ad un altro discendente della famiglia, il canonico Giovan Battista Mazza, le opere di restauro più radicali e significative. Costui, infatti, nominato rettore della chiesa abadiale di S. Maria del Faro nel 1712, investì parte della sua eredità paterna nella ristrutturazione del tempio. Fu così che, sotto la direzione di Ferdinando Sanfelice, uno dei più noti architetti dell’epoca, furono ridisegnati gli spazi interni, date nuove forme al fronte di facciata e, soprattutto, fu innalzata la torre campanaria che dona alla chiesa il suo aspetto caratteristico.

Quasi un secolo dopo fu nominato rettore un altro sacerdote discendente dall’antico casato dei Mazza, Don Nicola Maria Mazza. Questi, ripetendo le iniziative dei suoi antenati, nel 1821 si assunse quasi interamente la spesa per i lavori di restauro. In quegli anni, per lo zelo di questo religioso, si ripavimentarono gli interni, si restaurano dipinti e statue e si incrementò il patrimonio degli argenti sacri. Il periodo di conduzione di Don Nicola Mazza appare fecondo anche per le numerose iniziative pastorali. Tuttavia, con la sua morte si conclude la fase positiva per la chiesetta.

Durante quegli anni di forzata incuria, infatti, si fecero avanti persone le quali, pur non potendo vantare nessun rapporto di parentela con la famiglia Mazza, riuscirono ad impadronirsi dei luoghi sacri senza trovare intralci e oppositori. Sospese tutte le funzioni e disperso il ricco corredo di suppellettili, la chiesa fu così lasciata andare in rovina.

Nel 1955 il Cardinale Alfonso Castaldo, uomo di forte tempra che aveva già dato significative prove di fermezza nel ribaltare situazioni e reprimere abusi praticati ai danni di proprietà e beni ecclesiastici, si mise in contatto con coloro che all’epoca detenevano la chiesa e “dopo laboriose trattative e con un generoso e personale intervento finanziario, riscattò ogni diritto dal presunto possessore e lo tacitò d’ogni pretesa con il versamento della somma di parecchi milioni”.

Ripuliti alla meglio i luoghi sacri, ormai definitivamente acquisiti al patrimonio della Chiesa napoletana, ne divenne rettore il Sacerdote Umberto Schioppa il quale riaprì il tempio al culto, con una solenne celebrazione eucaristica, l’8 Dicembre 1955.

Con un altro decreto del 6 Novembre 1958 il Cardinal Castaldo innalzò la chiesa al ruolo di parrocchia locale e Don Umberto Schioppa divenne ufficialmente parroco della stessa il 1° Marzo del 1959. Fu proprio l’opera pastorale di Don Schioppa a consentire, nello spazio di poco più d’un decennio, di raccogliere gran parte dei fondi necessari per restaurare le fatiscenti strutture.

 

Fonte: Parrocchie.it