I Luoghi di Napoli: la storia narrata attraverso Piazza del Plebiscito
Feb 26, 2014 - Valeria De Gregorio
Per la rubrica I Luoghi di Napoli: Piazza del Plebiscito, la cartolina di Napoli.
Nell’immaginario collettivo, la città partenopea è rappresentata dal suo paesaggio, in particolare quello del golfo abbracciato dal Vesuvio. Fin qui tutto sembrerebbe ordinario: ogni città ha la sua “immagine-cartolina”. La straordinarietà che distingue -ed anzi eleva- la bella Parthenope rispetto a qualsiasi altra città del mondo sta proprio in questo: ogni altra è, infatti, rappresentata da un monumento, basti pensare al Colosseo per Roma, o alla Torre per Pisa; Napoli, invece, è per tutti un paesaggio naturale. Ma non manca, anche dalle nostre parti, la consueta “immagine-cartolina”: Piazza del Plebiscito, senza alcun dubbio.
Piazza del Plebiscito, punto mediano attraverso cui la città è ben collegata, prima dell’annessione al regno di Sardegna nel 1860 era Piazza Largo Palazzo; essa si compone di quattro edifici: ai lati il Palazzo Salerno ed il Palazzo di Prefettura, ed infine il Palazzo Reale e la Chiesa di San Francesco di Paola.
Non è molto facile raccontare la storia e l’arte dei partenopei, ma uno dei luoghi più emblematici, il Palazzo Reale, -per chi non lo sapesse- è molto esaustivo nel farlo. Il Palazzo, che sorge sulla vecchia Reggia voluta da Don Pedro de Toledo, fu commissionato intorno al 1600 dal viceré Fernando Ruiz de Castro conte di Lemos, per ospitare Filippo III di Spagna e la sua consorte durante una visita al Regno che non avvenne mai. L’architetto a cui fu commissionata l’opera fu Domenico Fontana, ma nel corso dei secoli vi furono numerose ristrutturazioni (eseguite da De Mura e Vaccaro; l’edificio, però, si poté dire completato soltanto dopo le modifiche che seguirono l’incendio del 1837, ad opera di Gaetano Genovese) che garantirono al Palazzo non soltanto continui ampliamenti (ad esempio l’ala destra che divenne la biblioteca nazionale) ma anche una varietà di stili artistici.
La facciata del palazzo inizialmente presentava 19 arcate, di cui la più grande centrale rappresentava l’entrata principale. Gli spazi vuoti delle arcate rendevano, però, instabile l’edificio, indi per cui l’architetto Luigi Vanvitelli decise di chiuderle in modo alterno. Solo nel 1888, per volere del Re Umberto I, le otto nicchie presenti nelle arcate chiuse furono riempite da statue realizzate da più scultori. E sono proprio queste statue a spiegare la complessa storia della città: ognuna di esse rappresenta, attraverso il suo capostipite, una dinastia, cui Napoli si è sottoposta. Partendo da sinistra: Ruggiero II detto Il Normanno, Re di Sicilia (Regno che comprendeva tutto il sud Italia), e primo vero Re di Napoli; Federico II di Svevia, fondatore della prima università laica proprio a Napoli, nonostante quest’ultima non fosse capitale del suo regno (allora lo era la città di Palermo); Carlo I D’angiò, vero fondatore del Regno di Napoli, poiché qui trasferì la sua capitale, inimicandosi i siciliani, che con la successiva guerra del Vespro si vendicarono accettando gli Aragonesi come nuovi regnanti, cacciando così la dinastia dei D’angiò, dunque si può dire che Carlo I portò anche alla creazione di un nuovo Regno, quello di Napoli, distaccandolo da quello di Sicilia; Alfonso V D’Aragona, il quale prese il potere inizialmente conferitogli direttamente da Giovanna II (La regina aveva eluso la legge Salica, per cui le donne non potevano salire al potere: come si nota prima che in Inghilterra, con Maria la Sanguinaria ed Elisabetta I, fu nel regno di Napoli che le donne ebbero un ampio margine politico) e successivamente conquistandolo con la forza, egli fu il Re dell’unificazione di Sicilia e Napoli -quest’ultima Capitale- nonché il Re dell’umanesimo e della cultura con la realizzazione della maggior parte delle chiese oggi presenti e segnate sulla tavola Strozzi -da lui stesso commissionata- e la presenza nella città di figure di rilievo come Enea Silvio Piccolomini, divenuto poi Papa Pio II, in più è con lui che si ufficializza il napoletano come lingua; Carlo V D’Asburgo; Carlo di Borbone, egli era Carlo VII a Napoli, ma Carlo V in Sicilia e con l’ eredità spagnola divenne Carlo III: i Savoia, che commissionarono queste statue e cacciarono i Borbone da Napoli, hanno molto giocato su questi suoi diversi titoli, infatti la statua non è presentata come Carlo VII di Borbone, ma come Carlo III di Spagna, quasi a voler occultare la dinastia Borbonica dalla storia napoletana; Gioacchino Murat, che ha governato a Napoli con la moglie Carolina Bonaparte rappresentando la dinastia napoleonica; ed infine Vittorio Emanuele II, la cui dinastia, paradossalmente, non ha mai governato il Regno di Napoli, bensì quello d’Italia.
In più si narra una curiosa storiella sulle ultime statue: Carlo V D’Asburgo chiede chi abbia fatto la pipì lì davanti, Carlo III risponde di non saperne nulla, Gioacchino Murat ammette di essere stato lui, e Vittorio Emanuele II ripristina la pace minacciandolo di evirarlo. Questa leggenda popolare è servita al popolo napoletano per accorciare le distanze con i propri sovrani, guardando il loro lato umano, e non regale.
Altri due monumenti importanti per comprendere la storia di Napoli sono i due bronzi equestri posti quasi al centro della piazza raffiguranti Carlo III (opera realizzata tra il 1818 e il 1822 da Canova) e suo figlio Ferdinando I (opera realizzata dopo il 1822 da Antonio Calì, allievo di Canova, al quale si sostituì dopo la morte) per celebrare il ritorno dei Borbone dopo la breve parentesi napoleonica, (il primo progetto inizialmente doveva essere una scultura di Napoleone).
La Chiesa di San Francesco di Paola è coerente con lo stile neoclassico delle statue reali ed equestri. I lavori cominciarono secondo i progetti di Gioacchino Murat che fece abbattere il vecchio convento ed affidò la costruzione all’architetto Laperuta, il quale però riuscì solo a realizzare le fondamenta. Ma fu Ferdinando I delle Due Sicilie (vecchio Ferdinando III di Sicilia e Ferdinando IV di Napoli, ovvero il figlio di Carlo III di Spagna, nonché Carlo VII di Borbone a Napoli) ad affidarne la costruzione all’archietetto Pietro Bianchi, omaggiando l’edificio a San Francesco di Paola che con una grazia gli aveva restituito il regno dopo la parentesi napoleonica.
Ricorda molto il Pantheon di Roma: trentotto colonne ioniche ad emiciclo, sei colonne doriche centrali a sostegno di un timpano ai cui vertici proprio Ferdinando I (a destra), la Religione (al centro), e San Francesco di Paola (a sinistra). Le colonne invece presenti all’interno della chiesa hanno i capitelli in stile corinzio. In più: statue dei quattro evangelisti e dei quattro dottori della Chiesa, come Sant’Agostino che sostiene il suo De Civitate Dei, e diversi dipinti, tra cui un Luca Giordano nella piccola Cappella al lato destro della basilica.