Nella lingua napoletana si è soliti definire qualcuno particolarmente sveglio, soprattutto un bambino, come “figlio di ‘buona donna’”, per non essere volgari, o anche “figlio ‘e ‘ntrocchia”. Quella che in tutto il mondo è un’offesa gravissima, apostrofare in simili modi la madre di qualcuno non è mai bello, a Napoli è molto più attenuata, assumendo quasi i connotati di un complimento. Si parte dal presupposto, infatti, che un bambino figlio di una prostituta cresca per strada e che sia abituato alla vita più spicciola sin dalla tenera età: uno scugnizzo ancor più autonomo.
Anche questa non è mai stata considerata un’onta sul piccolo, anzi, è sempre valutata come un modo per plasmare un carattere forte ed un’intelligenza agile. Un bambino con una parlantina particolarmente sviluppata o molto sveglio per la sua età è ancora oggi definito “figlio ‘e zoccola”, così come un professionista incredibilmente bravo nel suo lavoro o una persona molto furba e dal comportamento affabile. La variante di “figlio ‘e ‘ntrocchia” è solo un modo meno volgare di intendere la stessa cosa. Per questo motivo viene usato quasi esclusivamente per i bambini che non dovrebbero ascoltare parolacce.
Cos’è, però, questa ‘ntrocchia? La particolarità è che la parola viene usata soltanto in questo detto e non trova altri riscontri nella nostra lingua. Senza ombra di dubbio il significato è quello di meretrice, prostituta, per coerenza con quanto detto fino a questo momento. Per capire la connessione dobbiamo quindi considerare abitudini o nomignoli affibbiati a queste donne sfortunate.
In questo caso possiamo far riferimento al termine “lucciole”: nelle notti più fredde le prostitute tendono a riscaldarsi accendendo falò a bordo strada, cosa che aiuta anche a mettere in mostra la mercanzia. Questa abitudine ed i piccoli bagliori che ne derivano hanno valso la similitudine con i luminosi insetti. Se è vero che la prostituzione è il lavoro più antico del mondo è vero anche che le consuetudini del mestiere siano invariate nei secoli: anche nell’antica Roma, infatti, le prostitute passavano intere notti per le strade e per riscaldarsi utilizzavano delle piccole torce. In latino questi strumenti venivano chiamati “antorcula”. Vi suona familiare?
Secondo una tesi confermata anche dallo studioso Raffaele Bracale, è proprio il termine “antorcula” che è stato tramandato in due millenni di storia fino a trasformarsi nel napoletano “‘ntrocchia”. Possiamo quindi confermare che la traduzione letterale in italiano di “figlio ‘e ‘ntrocchia” altra non è se non “figlio di lucciola’”