L’uomo che la storia ricorda come Carlo I d’Angiò, re di Sicilia, nacque il 21 marzo del 1226 a Parigi dal re di Francia Luigi VIII e sua moglie Bianca di Castiglia. Venne battezzato col nome di Stefano: cambiò il nome in “Carlo” soltanto in seguito per ostentare la discendenza della regale dinastia dei Carolingi, i discendenti di Carlo Magno, fondatore del Sacro Romano Impero. Ultimogenito, era destinato alla vita monastica, ma la prematura scomparsa di ben due fratelli gli concesse titoli ed onori a cui non era destinato.
Ciò che davvero gli diede prestigio e potere, però, fu il matrimonio con la dodicenne Beatrice, contessa di Provenza. Gli avvenimenti che precedettero l’unione sono paragonabili ad una favola classica: alla prematura scomparsa del padre, la ragazzina si trovò ad ereditare una delle terre più floride e ricche della Francia del tempo. Questo attirò numerosi pretendenti ed il più importante fra questi, Giacomo I d’Aragona, arrivò addirittura ad assediare il castello della contessa per ottenere la sua mano. Carlo arrivò con le sue armate e spazzò via quelle del rivale riuscendo a sposare la giovane il 31 gennaio del 1246 ed acquisendo, di conseguenza, il titolo di Conte di Provenza.
Nel 1248 accompagnò suo fratello, divenuto re di Francia come Luigi IX, nella fallimentare settima crociata: in Egitto l’intera famiglia reale venne fatta prigioniera costringendo le truppe “cristiane” ad una veloce ritirata. Tornato in patria nel 1250 sedò numerose rivolte e prese parte a varie guerre dinastiche che accrebbero i suoi possedimenti. Tra il 1258 ed il 1264 riuscì persino a conquistare tutto il Piemonte ponendo, di fatto, fine all’autonomia della regione. Intanto, però, in tutta la penisola italica si acuiva la lotta fra i guelfi, sostenitori del Papa e del suo potere temporale, ed i ghibellini, fedeli all’impero tedesco.
Fra questi, Manfredi della casata di Svevia, re di Sicilia, acquisiva sempre più potere e manifestava l’intenzione di unificare tutta l’Italia sotto il suo dominio. Nel 1263 papa Urbano IV scomunicò Manfredi, ma serviva qualcuno abbastanza potente da affrontare il re in battaglia e scacciare le sue armate dalla Sicilia e dalla Campania. Carlo accettò la sfida e nel 1266 radunò a Roma circa 30.000 soldati francesi. La notte dell’epifania, nella basilica pontificia, venne ufficialmente incoronato re di Sicilia.
Il 10 febbraio iniziò la marcia in Campania e la maggior parte dei baroni fedeli a Manfredi, impauriti dall’avanzata francese, tradirono il loro signore. Lo Svevo tentò una disperata resistenza lungo il fiume Calore, nei pressi di Benevento, ma nella violenta battaglia venne colpito a morte. Carlo I d’Angiò regnava ormai su tutto il Sud Italia, ma i baroni che avevano tradito si pentirono presto del loro gesto: consapevole dell’infedeltà che lo circondava, il nuovo re si dimostrò duro ed autoritario, sostituendo suoi funzionari scelti a nobili e possidenti locali.
Questo scatenò presto una rivolta capeggiata da Corradino di Svevia, giovanissimo nipote di Manfredi. Questa nuova minaccia venne presto sedata nel sangue da Carlo: il 29 ottobre del 1268 l’ultimo Svevo venne condannato a morte e decapitato in Piazza del Mercato, a Napoli. Nello stesso anno, rimasto vedovo di Beatrice, il re prese in moglie Margherita di Borgogna. Placata ogni rivolta interna Carlo rivolse le sue attenzione ai focolai ghibellini che ancora resistevano in tutta Italia, ma prima di iniziare quest’ultima impresa decise di spostare la capitale del regno da Palermo a Napoli: la città era centrale, ricca, ben collegata e si confaceva al suo proposito di unificare l’intera penisola.
Nei due anni successivi il re, con la scusa di sottomettere le città ghibelline riuscì ad estendere, con la compiacenza del Papa, gran parte della Toscana. Per un breve periodo il regno di Carlo era quanto di più simile ad un’Italia unita dal Piemonte alla Sicilia e Napoli si trovò ad esserne la capitale. Nel 1270, però, le ambizioni del sovrano furono arrestate da un’ennesima crociata del fratello, dove, peraltro, lo stesso Luigi IX perse la vita in seguito ad una violenta dissenteria. Tornato in patria il re di Sicilia mosse altre guerre di conquista e sottomissione, finanziando tutto con tasse sempre più pesanti.
Il 30 marzo del 1282, il lunedì di Pasquetta, un generale francese mise le mani addosso ad una nobildonna palermitana per perquisirla: il popolo insorse generando una violenta rivolta conosciuta oggi come i “vespri siciliani”. In realtà, escludendo la storiella dell’onore della donna, i motivi per un’insurrezione erano ben altri: oltre alle tasse elevate i palermitani avevano mal digerito il trasferimento della capitale a Napoli, così come i funzionari francesi nelle più alte cariche governative. In pochissimo tempo l’intera Sicilia insorse e Carlo riuscì a riottenerne il controllo dopo più di un anno di guerra.
Ad approfittare di questo caos fu Pietro III d’Aragona che sbarcò a Trapani con circa 9000 armigeri e scacciò definitivamente le truppe francesi dall’isola. Carlo per tre anni cercò di arginare l’avanzata spagnola sul continente, ma, in parte per l’incapacità del figlio, Carlo lo Zoppo che perse l’intera flotta napoletana, ed in parte per le continue rivolte popolari contro l’autoritario monarca ogni sforzo fu vano. Gravemente ammalato e stremato da una febbre persistente Carlo I d’Angiò morì a Foggia il 7 gennaio del 1285 mentre si dirigeva in Puglia per organizzare uomini e riscuotere altre imposte. I suoi resti, riportanti in Francia, riposano nella Basilica di Saint Denis mentre una sua statua è fra quelle che decorano la facciata del Palazzo Reale di Napoli.