Sono sporche, nere, aggrovigliate, disordinate, scombinate, le cozze. Eppure sono uno dei cibi più buoni della cucina napoletana. Facili da procurare, possono essere consumate in svariati modi, con ingredienti semplici, modalità di cottura non complesse, per un risultato ottimo senza troppi sforzi. Pochi ingredienti, ma molto sapore.
Parte dalla nobiltà, la storia delle cozze. Ferdinando I di Borbone ne era infatti molto ghiotto, e si narra che fosse lui stesso a pescarle nelle acque di Posillipo. Tutto, per le cozze: anche sporcarsi le mani. Da lì, il re si faceva preparare la famosissima ‘mpepata e, in seguito, questi molluschi si diffusero anche presso il popolo, proprio a causa della loro facile “reperibilità” presso il litorale partenopeo. Fiorirono numerosi chioschetti sul lungomare, per servire anche ai passanti, durante le passeggiate, il delizioso pasto, che non necessitava di una tavola imbandita o di ingombranti posate: era uno sfizio, da vivere durante le giornate di sole, nei mesi in cui il cielo era per la maggior parte del tempo limpido, tra Maggio e Agosto. Abitudine che, di tanto in tanto, è presente ancora oggi. Il chioschetto, d’altronde, è uno dei tratti più caratteristici di Napoli, un “luogo” che spunta nel bel mezzo di una cartolina turistica, e che connota, antropologicamente e culturalmente, la storia e l’immaginario collettivo della città di Napoli.
In questo periodo pre-pasquale, d’altronde, le cozze sono uno degli ingredienti più utilizzati per la preparazione di ricette che non richiedano l’utilizzo di carni, il cui uso è vietato per motivi religiosi.
Innumerevoli le preparazioni culinarie cui fare riferimento: basti pensare alla già citata ‘mpepata, alla zuppa, o al mitico duo fagioli e cozze. Si narra che il re “lazzarone” spesso voleva farsele cucinare in maniera piuttosto sontuosa e così seguendo l’ammonimento del padre domenicano Gregorio Maria Rocco che gli consigliava di non eccedere con i peccati di gola, almeno durante la settimana santa, il monarca furbescamente per non rinunciare alle sue cozze tanto gradite ordinò ai cuochi di preparargliele, il giovedí santo, con una preparazione meno ricca. Così si fece servire in tavola la zuppa di cozze con pomodoro e salsa forte di peperoni e da qui tutto il popolo e la nobiltà seguirono il suo esempio. Più tardi, però, il popolo basso sostituì le costose cozze con le piú economiche lumache con una zuppa di lumache (ciammarruche), preparata con lo stesso sugo di quella di cozze.
Tradizioni culinarie che vengono da lontano, ma le cui radici sono così forti da rimanere in uso ancora oggi, e anche in modo molto diffuso. Non è un caso, infatti, che nel periodo adatto, ristorantini e trattorie dei vicoletti di Napoli, propongano questi piatti all’ordine del giorno, unendo la tipicità gastronomica alla tipicità dei luoghi napoletani, creando un contesto più unico che raro: gli odori intensi riempiono le stradine a pietre larghe del centro storico, i tavolini affollano le viuzze, dove, incamminandosi, ci si perde tra le gioie del palato e l’incredibile tradizione culinaria partenopea, sentendosi un po’ come Ferdinando I di Borbone, un re alla scoperta dei sapori di Napoli.