La lingua napoletana è l’insieme armonioso di tutte le culture, i popoli ed i regni che si sono succeduti nella nostra città. Spesso capita, quindi, che parole antichissime siano arrivate, attraverso i secoli, fino a noi restando vive nella nostra lingua mentre altrove sono state dimenticate. Il termine “Uosemo” è uno di questi “fossili viventi” della lingua.
Come spiega il professor Luigi Casale nella sua analisi, deriva, infatti, direttamente dal greco “osmòs”, che significa “odore”, o, più precisamente, dal verbo “osmao”, “odorare, fiutare”. Se la parola in sé ha subito dei leggeri cambi nella tradizione volgare, il suo significato è rimasto pressoché invariato: odore o fiuto.
Tuttavia, la sua interpretazione cambia a seconda di come viene usato, del contesto o della frase. Possiamo dire che, in generale, l’“uosemo” è un odore sgradevole, magari non molto forte. “Sentire l’uosemo” può significare, invece, subodorare qualcosa di negativo o di nascosto, come dire in italiano “questa cosa mi puzza”. “E’ gghiut’ ‘a uosemo” si dice quando qualcuno sceglie in base all’istinto, l’italiano “andare a naso”.
Sempre il prof. Casale traduce “uosemo” non propriamente come “odore”, ma come “olfatto canino”, rendendolo molto più specifico. In base alle interpretazioni elencate in precedenza questa versione sembra calzare meglio: il fiuto sviluppato dei cani ben si addice a situazioni in cui si percepisce qualcosa di nascosto o si segue un impulso, una sensazione.