Napoli è uno scrigno di antiche credenze, di usanze radicate nella sua profonda cultura. E’ la città in cui più di tutte sono rimasti ancora oggi riti e misteri antichi.
Basti pensare al malocchio, alle usanze delle nostre nonne per fa innamorare o solo per pulire la casa. Tra i tanti ci sono i riti per propiziare la fertilità, nonostante i tentativi della Chiesa in passato di abolire queste pratiche di reminiscenza pagana, il culto della fecondità non è del tutto tramontato. La cultura partenopea è testimone della sopravvivenza di questi riti dove la storia si mescola con il mito.
Il culto della fertilità a Napoli in età moderna è testimoniato dalle cronache di un diplomatico scozzese del XVIII secolo, Lord Hamilton, che raccontò di ex voto a forma di fallo e di un olio benedetto contro l’impotenza, che i preti napoletani suggerivano di spalmare sui genitali. In una lettera scrisse: “Ho scoperto il culto di Priapo in pieno rigoglio, come ai tempi dei Greci e dei Romani“. Per gli uomini che soffrivano di impotenza si consigliava di andare a respirare profonde boccate di aria di zolfo alla Solfatara, proprietà confermata da recentissimi studi scientifici.
Ancora oggi esistono e resistono dei riti a Napoli, dove la figura della donna è centrale. Il primo è quello di Piedigrotta, dove in antico si svolgeva il culto della “Venere Genitrice”, praticato dalle spose sterili che invocavano fecondità grazie all’effetto di potenti afrodisiaci e sacerdoti ben dotati che provvedevano ad ingravidare quante più donne possibile. Dal Satyricon di Petronio sappiamo che nella zona c’era anche un sacello (I sec. d. C.) dedicato a Priapo (dio greco della fertilità, rappresentato con un fallo enorme e un corpo deforme), infatti nella Crypta Neapolitana si svolgevano rituali di fertilità tra canti e danze sfrenate.
Proprio qui ai piedi della galleria scavata nel I secolo a. C sotto la grotta di Posillipo, si tiene ancora oggi la più sentita manifestazione popolare partenopea: la festa in onore della Madonna di Piedigrotta. Nel III secolo d. C., infatti, la celebrazione della Vergine prese il posto delle baccanali, mantenendo però i suoi connotati sfrenati: carri allegorici, fuochi d’artificio e una manifestazione canora.
Il tradizionale vaso a ‘o pesce ‘e San Rafèle (bacio al pesce di San Raffaele), è praticato ancora oggi nella chiesa dedicata a San Raffaele nel quartiere di Mater Dei. Le ragazze da marito si recavano e si recano in chiesa per baciare il pesce tenuto in mano dal santo, protettore dei pescatori.
Fonti:
A.Palumbo-M.Ponticello, Misteri, segreti e storie insolite di Napoli, Newton Compton Editori, 2015
Lazzarini A. (1998) Neapolis: civiltà, tradizioni, miti e leggende di Partenope, Napoli, Tavernier, p. 160