La pagina forse più controversa della storia di Torre del Greco, un capitolo importante, quanto oscuro, della storia del Paese, che torna più attuale che mai in questi giorni che danno conferma alle trattative Stato-Mafia: è quella che porta il nome di Ciro Cirillo, l’ex presidente campano scomparso lo scorso anno all’età di novantasei anni. Un nome e un cognome comuni, quasi banali, ma che non rischiano di essere confusi con i numerosissimi omonimi concittadini, nonostante la sua storia resti sconosciuta ai più giovani: a rendere il suo caso inconfondibile, perché di un vero e proprio caso mediatico si trattò, non fu la militanza nella Democrazia Cristiana, in ruoli apicali come la Presidenza della Regione Campania e l’assessorato ai Lavori Pubblici, ma il suo rapimento e successivo rilascio al termine di una trattativa tutt’altro che trasparente, da parte delle Brigate Rosse.
Poco più di tre anni dopo la strage di via Fani e il rapimento di Aldo Moro, con analoghe modalità, nel garage della sua casa a via Cimaglia, un commando di cinque uomini delle BR sequestrò il dott. Cirillo alle ore 21.45. Nell’agguato trovarono la morte l’agente di scorta Luigi Carbone, l’autista Mario Cancello e fu gambizzato il segretario Ciro Fiorillo. I due rapimenti sembravano ricalcare il medesimo schema: un atto sovversivo ai danni di membri di spicco della DC, cariche importanti nella gerarchia di potere, un monopolio di forza illegittima passante attraverso il conflitto a fuoco e culminante in entrambi i casi nella richiesta di un riscatto corposo, in termini di concessioni e risorse.
Ma se Moro fu trovato morto il 9 maggio del’78, dopo 55 giorni di prigionia e il netto rifiuto della sinistra di rinunciare alla linea dura e assecondare le richieste dei terroristi, Cirillo, all’epoca assessore ai Lavori Pubblici e vicepresidente della commissione per la ricostruzione post- terremoto in Irpinia del 1980, fu rilasciato in luglio dopo una trattativa ancora avvolta nel mistero.
In cambio del rilascio, il 24 luglio in un palazzo abbandonato di Poggioreale, i rapitori capeggiati da Giovanni Senzani ottennero la requisizione degli alloggi sfitti di Napoli, da destinare ai senzatetto, indennità per le vittime del terremoto, la pubblicazione dei verbali cui l’assessorato di Cirillo si sarebbe impegnato a rispettare.
Nel comunicato rilasciato il giorno precedente, le BR specificavano di aver organizzato il rilascio in cambio di 450 milioni di lire , “raccolti da amici”, come affermò in seguito l’assessore sequestrato.
Presumibilmente gli stessi amici Dc che tuttavia, a differenza del sequestro Moro cui il fronte della fermezza era costato la morte, stavolta trattarono con i terroristi, seppur mai in modo ufficiale.
Se il rapimento di Moro fu, ed è ancora, al centro della cronaca e dei pensieri di tutto il Paese, vivido come non mai, sviscerato tramite documenti, ricostruzioni, verbali e confessioni tardive, fissato indelebilmente nella memoria nazionale con l’espressione smunta con cui fu ritratto sull’odioso sfondo brigatista nell’immagine diventata istantanea storica della sua prigionia e le suppliche accorate delle sue lettere, sul caso Cirillo media e governo hanno sempre avuto un profilo basso. La trattativa che portò al suo rilascio è tuttora poco chiara: il suo rapimento denotò il primo, vero sospetto di rapporti tra i Servizi Segreti, la P2 e la camorra di Cutolo.
Come si legge ne Il Camorrista di Giuseppe Marrazzo il superboss fu contattato dai servizi segreti e dai compagni di partito dell’assessore rapito per trattare coi terroristi tramite i suoi contatti con brigatisti detenuti in cambio di importanti concessioni. Sarebbe stata proprio l’influenza di Cutolo a convincere i terroristi a rilasciare indenne il prigioniero in cambio di denaro. Secondo l’autore stavolta la Dc accettò di trattare non per la salvezza dell’uomo ( l’indifferenza verso Moro sembra confermarlo) ma nel timore che la pressione della prigionia inducesse Cirillo a rivelare particolari importanti dei legami tra Stato e criminalità organizzata.
Una vicenda scomoda che Cirillo stesso ha contribuito a complicare e che resta più fitta che mai a un anno dalla morte: se nelle prime dichiarazioni a caldo l’assessore escluse fermamente un eventuale coinvolgimento d’ ‘O Professore e della Nuova Camorra Organizzata attribuendo l’istruttoria che li vedeva coinvolti a un tentativo del giudice Alemi di incastrare l’allora ministro degli Interni Antonio Gava, in seguito, in un’intervista concessa a Giuseppe D’Avanzo, affermò che la sua verità sulla vicenda era custodita in un memoriale affidato ad un notaio e che sarebbe stato pubblicato solo dopo la sua morte, salvo poi ammettere, ai microfoni de Il Mattino, che il carteggio non era mai esistito ed era stata una bufala per scoraggiare i giornalisti.
Il rilascio coincise con la fine della sua carriera politica: Cirillo dichiarò di essersi sentito costretto, seppur a malincuore, a ritirarsi secondo la volontà del proprio partito.
Il caso può essere approfondito nel romanzo IL Camorrista di Giuseppe Marrazzo e nella pellicola omonima che ne ha tratto Giuseppe Tornatore: il nome risulta storpiato in Mesillo.