Cultura

Chiavone, il brigante che ammirava Garibaldi

Il tramonto del Regno delle Due Sicilie ha avuto nel suo processo varie figure controverse, messe in controluce dalla difficile situazione storica e dalla relativa storiografia, che spesso e volentieri ha dato adito a determinate personalità invece che ad altre. Chiavone (o Luigi Alonzi, il suo nome di battesimo) è una di queste. Nato a Sora, al tempo parte del Regno delle Due Sicilie, Chiavone è stato un membro della Guardia Nazionale fino all’arrivo dei piemontesi. Rifugiatosi in un primo momento nello Stato Pontificio, tornò poi al servizio dei Borbone, arrivando a radunare sotto il suo comando migliaia di uomini per la causa legittimista. Fra il 1860 e il 1862 Chiavone divenne uno dei principali capi banditi dell’Italia meridionale, operando principalmente in Terra di Lavoro. A lui, Francesco II offrì personalmente provvigioni e ruoli di comando, rifornendo la sua banda e nominandolo, nel maggio del 1861, Comandante in capo delle truppe del re delle due Sicilie.

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Come altri briganti, protagonisti della lotta del Regno delle Due Sicilie contro l’invasione sabauda, il suo ruolo di brigante troppe volte oscurò la causa legittimista in favore del vile denaro. Non diversamente dalle truppe savoiarde razziò ed uccise (specialmente quando il supporto dei Borbone non era così concreto) per mantenere alto il morale della sua brigata e poter pagare lo stipendio degli uomini al suo comando. Di lui Marc Monnier scrisse che non era malvagio, anche se speculava sul re che serviva; Niente che del resto qualsiasi altro Brigante avrebbe fatto, in virtù del potente supporto economico che i Borbone, anche da decaduti ed esuli a Gaeta prima e Roma in seguito, potevano fornire.

Luigi Alonzi, con il suo pittoresco copricapo.

Le sue capacità in tecniche di guerriglia fecero di lui una figura leggendaria, dipinto più volte in abito da comandante (pur essendo a tutti gli effetti un individuo del basso feltro) spesso con il viso oscurato da un voluminoso e pittoresco cappello di feltro nero con piuma bianca, suo marchio di fabbrica; Peculiare era anche il suo apprezzamento  e ammirazione nei confronti di Garibaldi, sua nemesi, ma figura di condottiero che aveva preso ad esempio, apprezzandone l’audacia e le capacità in battaglia. Con Carmine Crocco fu tra i protagonisti della resistenza borbonica alla dominazione sabauda, sconfiggendo più volte gli eserciti del Regno di Sardegna, anche in inferiorità numerica. Morì al fine nei pressi della Certosa di Trisulti, ucciso dai suoi stessi luogotenenti, quando il destino del Regno che aveva servito era già stato segnato dalla politica.

Fonti

  • Giovanni de Matteo, Brigantaggio e Risorgimento
  • Marco Monnier – Notizie storiche sul Brigantaggio nelle province napoletane
  • Michele Ferri, Il brigante Chiavone