La vecchia scorticata: la cruenta fiaba napoletana vista anche al cinema
Nov 09, 2018 - Domenico Ascione
Ormai sappiamo bene che “Lo Cunto de lu Cunti” o “Pentamerone” di Giambattista Basile ispirò la maggior parte delle favole moderne. Cenerentola, Raperonzolo e tantissime altre non sarebbero mai esistite se lo scrittore napoletano non avesse pubblicato la sua opera nel 1634.
Una peculiarità delle favole de “Lo Cunto” è la loro natura popolare, il modo in cui caratteri magici e fiabeschi si mescolano alla cruda realtà, spesso eccessiva nella sua drammatica violenza. Molte storie sono grottesche, al limite del volgare e spesso rappresentano vizi e perversioni nella maniera più eccessiva possibile.
Quella della vecchia scorticata è una di queste favole “per adulti”. Di seguito cercheremo di riassumerla e semplificarne il contenuto, ma consigliamo vivamente di recuperare la versione originale dal testo di Basile per cogliere tutte le possibili sfaccettature di dialoghi e modi di dire che, in questo contesto, eviteremo.
In una vecchia catapecchia vivevano due sorelle. Entrambe erano molto anziane e dall’aspetto mostruoso: rughe e grinze in ogni angolo della pelle, peluria sul viso e sul corpo, membra incartapecorite. Vergognandosi del loro aspetto vivevano rinchiuse in casa, giorno e notte, nascoste dal mondo. Il loro rudere, però, si ergeva proprio adiacente al giardino del re del paese e le finestre del sovrano affacciavano proprio su di loro.
Sappiamo tutti che più una cosa è misteriosa e celata, più la curiosità aumenta e, con essa, il desiderio. Il re ogni giorno fissava quell’umile dimora cercando di carpire il segreto dei suoi abitanti. Col tempo ne divenne realmente ossessionato, arrivando ad immaginare che lì abitasse una fanciulla talmente bella da volersi nascondere per non farsi sciupare. Convinto di tale scoperta il re iniziò ad urlare dolci parole vicino alla catapecchia, ogni giorno, cercando di convincere la fantomatica fanciulla a degnarlo di attenzione.
Le due vecchie, inizialmente, evitarono di reagire a simili avances, ma dopo un po’, resesi conto della follia dell’uomo, decisero di sfruttarla a loro vantaggio. Mentre il re continuava a latrare il suo disperato bisogno di vedere la fanciulla, una delle due anziane gli rispose con la voce più flebile possibile promettendogli che 8 giorni dopo gli avrebbe mostrato un dito soltanto. Poca roba, ma pur di avere qualcosa l’uomo accettò di buon grado quella forma di appuntamento.
Nei giorni successivi le due vecchie utilizzarono qualunque rimedio naturale, qualunque tortura o diavoleria per far scomparire le rughe da un solo dito. La più anziana delle due riuscì nell’intento e, nel giorno e all’ora prestabilita, fece uscire il dito “rifatto” dalla porta. Come lo vide il re iniziò a baciarlo, in preda al desiderio più folle, a supplicare la fanciulla di incontrarlo, di concedersi a lui e di non costringerlo ad utilizzare la sua autorità per ordinarglielo.
La donna decise di stare al gioco. Disse al re che avrebbe giaciuto con lui, ma ad una condizione: si sarebbero incontrati direttamente nella camera da letto del re e sarebbero rimasti al buio anche per consumare il rapporto. Ovviamente, vistosi accontentato, il re accettò senza farsi alcuna domanda.
Prima dell’appuntamento le sorelle continuarono a lavorare per far apparire l’anziana più giovane: la pelle venne tirata ai lati con delle mollette, una sorta di lifting artigianale. La fatidica notte la vecchia si coricò nel letto del re e lo aspettò. Quando l’uomo arrivò iniziò a palparla e subito si rese conto che qualcosa non andava, che quello non sembrava il corpo di una fanciulla, ma, forse per il troppo desiderio, forse per curiosità, mise da parte i dubbi e consumò un rapporto sessuale con la donna.
Quando, alla fine, lei si addormentò, il re corse a prendere una candela e la illuminò, scoprendo con vergogna e rabbia la truffa. Immediatamente chiamò i suoi servitori ed ordinò loro di scaraventare la vecchia fuori dalla finestra. Nonostante le suppliche della donna la rabbia del re non si placò. Gli uomini, sghignazzando per la sfortuna del sovrano, presero l’anziana di peso e la lanciarono dall’alta finerstra.
Fortuna volle, però, che la donna rimase impigliata con i capelli al ramo di un albero, dove rimase appesa tutta la notte. Di lì passarono alcune fate che in tutta la loro vita non avevano mai riso. Ebbene, vedendo quella donna sfortunata dimenarsi appesa a quel tronco iniziarono a ridere di gusto, talmente tanto che alla fine decisero di sdebitarsi con la vecchia. Ad una ad una le fate le donarono giovinezza, bellezza, eleganza e trasformarono quell’albero in un giaciglio fiorito dove adagiarla.
Al mattino il re si svegliò ed affacciandosi come di consueto alla finestra vide la fanciulla bellissima che riposava nel suo giardino. Si precipitò fuori ancora in vestaglia e pantofole pur di corteggiare una simile bellezza e subito iniziò a dirle dolci parole. L’anziana rigenerata era ancora adirata per il trattamento ricevuto il giorno precedente, ma non poteva rifiutare una simile occasione: quindi disse al re che si sarebbe concessa a lui solo dopo il matrimonio.
L’uomo non se lo fece ripetere due volte: portò la donna a palazzo ed organizzò subito un banchetto nuziale in gran stile. A tale evento la sposa invitò anche la sorella e la fece sedere al suo fianco. La vecchia non poteva credere ai suoi occhi ed a stento era riuscita a riconoscere la sorella, trasformata in una quindicenne. Tuttavia, invece di essere felice per lei, iniziò ad esserne profondamente invidiosa.
Per tutto il banchetto non fece altro che chiederle come avesse fatto, come fosse riuscita a ringiovanire così. Stanca delle domande della sorella e non volendo dire delle fate, la giovane sposa le rispose con un secco “Mi sono fatta scorticare”. Finito il banchetto la vecchia sorella, rimasta sola, non tornò a casa, ma si recò dal barbiere del paese e gli fece l’insana proposta di prendere il rasoio e scorticarla dalla testa ai piedi.
Ovviamente, l’uomo inizialmente rifiutò una simile richiesta, ma l’anziana iniziò a promettergli grandi tesori se l’avesse fatto. Stanco delle insistenze, il barbiere accettò solo per non doverla più sentire. Durante la tortura, mentre il sangue pulsava dal suo corpo scuoiato la vecchia continuava a ripetersi che “Chi bella vuole apparire, un poco deve soffrire”, ma l'”incantesimo” si concluse con un suo ultimo rantolo e la sua morte per dissanguamento.
La storia contiene più morali e più chiavi di lettura. La principale è che l’invidia porta inevitabilmente al dolore, così come è successo alla sfortunata vecchia. L’ossessione del re, invece, mostra quanto sia sbagliato idealizzare l’amore, l’oggetto dei nostri desideri, finendo per convincersi ed ignorare ogni difetto.
Questa fiaba è stata anche una delle tre utilizzate da Matteo Garrone nella trasposizione cinematografica “Il Racconto dei Racconti”, con Vincent Cassel nei panni del folle re.