‘O scetavajasse, lo strumento nato per richiamare delle serve particolari
Gen 18, 2019 - Michele Di Matteo
Gli appassionati di musica a percussione lo avranno certamente già sentito nominare, specie se del Sud Italia. Già, perché ‘o scetavajasse è uno strumento tipico del folklore delle feste popolari, caratteristiche dei centri abitati del Mezzogiorno nostrano. Occhio, però, a contestualizzare a dovere il suo utilizzo, perché qualcuno – meno avvezzo al dialetto napoletano – potrebbe anche credere ad un’offesa nei suoi riguardi.
‘O scetavajasse trae, infatti, origine da un uso domestico ancor prima che musicale. La parola stessa, in effetti, vuol dire sveglia (sceta) serve (vajasse), operazione effettuata proprio sfregando tra loro i due bastoni di cui è costituito oggi questo strumento. Il punto è, però, che vajassa, in napoletano, non significa semplicemente serva (o domestica), ma va ad indicare quelle delle peggior specie, donne di facili costumi, intente ai piaceri più sfrenati, promiscui e meno inibiti. Proprio perché intente a fare “altro”, queste serve avevano dunque bisogno che il proprio padrone le richiamasse all’ordine o comunque all’attenzione attraverso lo strumento che poi da questa operazione ha preso nome.
In ambito più specificamente musicale si può dire che 0′ scetavajasse è uno strumento formato da due bastoni di legno, uno dentellato e più lungo, con dei piattini di latta su uno dei suoi lati. Questo è tenuto generalmente nella mano destra e sfregato con gran forza sull’altro bastone per produrre un suono ritmico e intenso (detto nfrunfrù), nel tentativo – secondo alcune fonti – di rievocare il suono delle onde del mare; l’altro bastone – più piccolo e liscio – è, invece, tenuto sulla spalla. Pertanto il movimento del musicista può ricordare quello di un violinista.
Molto spesso o’ scetavajasse nelle feste popolari non era e non è utilizzato da solo, ma accompagnato dal putipù e dal triccheballacche. In passato, inoltre, esisteva un secondo tipo di scetavajasse, detto “pandola”, che era costituita da due canne di bambù, una delle quali dentellata, che si infilavano una dentro l’altra per produrre il suono. Ma la fragilità dei materiali con cui lo strumento era costruito lo ha condannato ad una graduale scomparsa.
Un ulteriore uso di questo termine oggi è riconducibile ad atti fisici violenti: “dare uno scetavajasse”, infatti, significa dare un gran ceffone, uno schiaffo talmente forte da risvegliare – appunto – chi lo ha ricevuto.