Quando oggi sentiamo parlare di cammeo la nostra mente corre ai monili da indossare, come anello, collana o orecchini. Ma pochi sanno che i cammei in età antica erano utilizzati soprattutto per decorare oggetti oppure utensili.
E’ il caso della cosiddetta “Tazza Farnese” una phiale (piatto da libagione) di epoca ellenistica e di scuola alessandrina, fabbricata in agata sardonica (sardonice dal colore nero giallastro) e dal diametro di 20 cm circa. Usata molto probabilmente per libagioni rituali è attualmente conservata al Museo archeologico nazionale di Napoli e datata al II o I secolo a.C.
Nel 1239 fu acquistata da Federico II ed in seguito l’opera ricomparve a Napoli nel 1458, quando venne vista da Angelo Poliziano nella collezione di Alfonso V d’Aragona. Lorenzo il Magnifico la acquistò a Roma nel 1471 e passò quindi nella collezione della famiglia Farnese. L’ultimo spostamento avvenne nel Settecento, quando Carlo III re di Napoli, trasferì qui l’imponente raccolta di capolavori ereditati dalla madre Elisabetta Farnese. Della sua storia precedente si conosce poco, forse fu portata da Alessandria d’Egitto a Roma da Ottaviano, dopo la vittoria ad Azio nel 31 a.C.
La superficie interna della tazza riporta un’immagine con otto figure: una Sfinge, sulla quale siede una donna che reca in mano delle spighe; una figura maschile con barba che regge una cornucopia; un giovane con un aratro e due figure femminili, una delle quali regge una phiale ed infine due figure maschili in volo.
La superficie esterna è decorata da una gorgoneion (Gorgone), che presenta sul naso un piccolo foro, forse usato per esporre il manufatto.
Le immagini rappresentate sulla Tazza Farnese si ricollegano tutte all’Egitto, data la presenza della Sfinge. Si tratta di un’allegoria divina della famiglia reale di Alessandria, collegate all’abbondanza egizia. Jean Charbonneaux la collegò al tempo del regno di Cleopatra I riconoscendo nella figura maschile centrale Tolomeo VI Filometore, nella figura femminile sulla Sfinge Cleopatra I e nella stessa Sfinge la figura di Tolomeo V Epifane defunto. Ennio Quirino Visconti nel 1790 la descrisse come una allegoria dei benefici ottenuti dalle piene del Nilo, rappresentato dall’uomo barbuto con la cornucopia. Alla sua destra Horus-Trittolemo si appoggia ad un aratro. Sotto di lui Iside è seduta sulla Sfinge, mentre all’estrema destra le due figure femminili rappresentano le stagioni dell’inondazione e della mietitura con i rispettivi attributi. Presso il bordo superiore le due figure volanti sarebbero le personificazioni dei venti Etesii che provocano le inondazioni.
Fonti:
– Jean Charbonneaux, Roland Martin; François Villard, La Grecia ellenistica : 330-50 a.C., Milano, Rizzoli, 1985.
– Sito internet del MANN