La lingua è l’espressione di un popolo, il manifesto di un’identità culturale, l’unione di tradizioni, usi, costumi, modi di dire e di fare (gesti, segni), è il risultato di invasioni, dominazioni, migrazioni o semplici rapporti tra popoli. Insomma essa esprime la sintesi di una storia che gli abitanti di un determinato territorio geografico hanno vissuto nel tempo.
La lingua napoletana viene considerata una lingua “neo-greca” e “neo-romanza” (al Sud si parlava greco quando al nord si parlava latino, ma è dal XIII secolo in poi che prende forma la struttura di questa lingua). Riconosciuta anche dall’U.N.E.S.C.O. qualche anno fa proprio come lingua (ma non come patrimonio dell’umanità), si sta cercando, dunque, di riportarla al centro di un discorso socio-culturale riguardante la rivoluzione che Napoli sta vivendo negli ultimi anni, proprio in termini di identità e storia.
Essa, infatti, oltre ad essere la seconda lingua più parlata in Italia (coprendo tutto il Sud peninsulare dagli Abruzzi alle Calabrie, dal Molise alla Basilicata con i suoi vari dialetti e cadenze), continua a non essere riconosciuta dallo stato italiano come lingua (volendone riconoscere una sola che “unisce” tutte le regioni).
Quante volte avete sentito dire “parla bene”, “parla italiano” nelle scuole, nelle famiglie o in società, proprio perché in particolar modo dal periodo fascista lo Stato italiano ha cercato di “unire” le popolazioni italiche partendo proprio dalla lingua, cercando di far “dimenticare” alle generazioni post-unitarie le loro “prime” lingue.
Questo ha creato nei decenni un senso di inferiorità tra le genti specialmente del Sud, tanto quasi da disprezzare un concittadino che parlava solo quella lingua, catalogandolo come “un cafone” o “un ignorante” e così in tanti cercavano poi magari di perdere la propria cadenza originaria. Sarà sempre molto difficile trovare un Fiorentino, un Veneto o un Milanese dire al proprio figlio “parla bene”.
In oltre 150 anni di subalternità, dall’Italia unita in poi, il meridionale spesso ha rifiutato ciò che lo faceva sembrare meridionale (a partire dalla lingua). Si chiama “sindrome da impotenza appresa” e si è affermata a furia di “il Nord è migliore del Sud” o “siamo inferiori” e tutto questo diventa anche lingua e cultura. Tale è uno dei motivi per cui vanno recuperate le nostre radici napoletane, con corsi di lingua napoletana sia per la grammatica con la sua evoluzione che per la letteratura (centinaia di esempi a partire dal Basile inventore nel Seicento di Cenerentola).
Oggi è significativo, ad esempio, l’uso diffuso ma scorretto anche sui social. L’associazione culturale di Davide Brandi, “I Lazzari”, è molto impegnata nella riqualificazione e nella divulgazione della lingua napoletana così come sono sempre più diffusi i curricula in cui viene scritto (su frequente e provocatorio consiglio del movimento neoborbonico) “buona conoscenza della lingua napoletana”. E mentre in Veneto si raccolgono migliaia di firme per il riconoscimento della loro lingua, noi non possiamo che augurarci la diffusione di questa sensibilità anche dalle nostre parti perché conoscendo la nostra lingua conosciamo noi stessi.
Fonti:
– https://patrimonilinguistici.it/cosa-intende-lunesco-lingua-siciliana-lingua-napoletana/
– https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto_napoletano
– https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_napoletana