E’ stata l’ultima cinta muraria della città partenopea. Lungo circa 20 chilometri, dalla Maddalena a Posillipo, il Muro Finanziere di Napoli fu una imponente struttura doganale, edificata con precisi scopi politici e finanziari. Nonostante alcuni dei suoi edifici siano tuttora ben visibili, sembra che di tale opera non vi sia traccia alcuna nella coscienza storica cittadina.
Il problema, come al solito, è come le sue testimonianze siano sopravvissute, molte delle quali nell’ormai ovvio stato di abbandono e di degrado – mai una volta che si possa dire il contrario – alla quale la cittadinanza sembra essersi drammaticamente abituata quasi con un senso di affezione.
Com’è noto, tra il 1806 e il 1815 si ebbe a Napoli il cosiddetto “decennio napoleonico” o “francese” che vide succedersi al trono del Regno prima Giuseppe Bonaparte (1806-1808) e, in seguito alla sua proclamazione a re di Spagna, Gioacchino Murat (1808-1815) cognato di Napoleone.
Sul piano economico e commerciale, la dominazione francese obbligò al Regno di Napoli le direttive imposte del Blocco Continentale, il Decreto napoleonico che dal 1806 impediva alle navi britanniche di attraccare nei porti dei territori francesi. All’ombra del Vesuvio tale blocco comportò non solo una crisi dei commerci con la conseguente insofferenza dei commercianti, ma favorì soprattutto lo sviluppo del contrabbando e dei traffici clandestini.
Con la fine del decennio francese, in seguito alla sconfitta di Murat nella battaglia di Tolentino per mano austriaca e il conseguente Trattato di Costanza del 20 maggio del 1815, il Regno di Napoli tornò nelle mani di Ferdinando IV di Borbone il quale, con la fusione del Regno di Sicilia con il Regno di Napoli, fu proclamato Ferdinando I delle Due Sicilie. Tornato al trono, il re si trovò ad affrontare una situazione economica assai complessa, colpita da un lato dal contrabbando dilagante e, dall’altro canto, dagli sforzi economici attuati per contrastare i moti del 1821.
Alla luce di tali difficoltà, la Corona adottò una particolare politica protezionistica al fine di sovvenzionare le casse del Regno. Fu proprio nell’attuazione di tale progetto che rientrò la costruzione del Muro Finanziere, vera e propria dogana che, delimitando tutto il territorio cittadino (casali compresi), avrebbe dovuto adempiere a due specifiche necessità: il contrasto del contrabbando e il consolidamento delle entrate mediante la riscossione dei dazi.
Tre sono le personalità che resero possibile la realizzazione del Muro: il primo ministro Luigi de’ Medici, il direttore generale dei dazi del Regno Giuseppe de Turris e l’architetto Stefano Gasse membro del Consiglio Edilizio. Il primo fu tra i principali fautori della politica protezionista finalizzata al risanamento delle finanze, mentre il secondo propose l’edificazione di un muro doganale. Quest’ultimo fu progettato da Stefano Gasse, tra i principali architetti e urbanisti napoletani della prima metà dell’800. Numerose, infatti, sono le sue opere a Napoli, come Palazzo San Giacomo e l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte.
Il progetto del Muro Finanziere fu approvato dal re Ferdinando I nel 1824 e costruito in soli quattro anni, dal 1826 al 1830. In seguito al suo completamento, tutte le merci che provenivano al di fuori dei confini cittadini erano soggette ad un dazio per poter accedere all’interno della città.
Completamente realizzato con blocchi di tufo, il Finanziere aveva un’altezza di circa 3 metri (12 palmi) e la larghezza di un metro. Prendendo il via dalla zona est di Napoli, esso partiva dall’attuale via Ponte della Maddalena e si estendeva fino a via Ponte dei Granili, nella zona oggi compresa tra Gianturco e San Giovanni a Teduccio. Il suo tracciato proseguiva poi verso nord, nella zona di Poggioreale e di Santa Maria del Pianto fino a raggiungere Capodichino.
Giunto al limite settentrionale della città, il Muro Finanziere procedeva lungo le colline e i valloni del territorio, costeggiando il bosco di Capodimonte – lungo l’attuale via Miano – e raggiungendo San Rocco e lo Scudillo. Da qui partiva la sua diramazione verso sud-ovest, prima verso la zona dei Cangiani poi lungo l’attuale via Jannelli. Dopodiché, il Finanziere seguitava la collina del Vomero, passando nella zona delle Case Puntellate e Antignano. L’ultima porzione del Muro toccava Posillipo e terminava a Mergellina, nell’attuale largo Sermoneta.
Lungo il suo percorso furono edificate una serie di guardie doganali per la riscossione del dazio. Francesco Ceva Grimaldi, nel suo Della città di Napoli dal tempo della sua fondazione sino al presente (1857) ci informa della presenza di ben 12 dogane: Granili, Poggioreale, Campo, Capodichino, Bellaria, Lieto, Scudillo, Cangiani, Case Puntellate, Patrizio, Posillipo e Mergellina. Oltre alle guardie doganali, il Muro Finanziere era dotato anche di postazioni di guardia – più di trenta unità – detti “Posti”.
L’architetto Stefano Gasse progettò gli uffici daziari in stile neogreco, ordine assai diffuso nel neoclassicismo europeo e americano tra settecento e ottocento. Dei 12 edifici originari ne sopravvivono quattro, due dei quali versano in uno stato di drammatico degrado e abbandono. Il primo è ubicato in via Ponte dei Granili, del quale sopravvivono le colonne in stile dorico, mentre è completamente ceduto il soffitto e i vani interni – che un tempo ospitavano gli uffici doganali – oggi dimora prediletta di piante e sterpaglie. Inutile sottolineare il degrado che circonda la struttura, facilmente intuibile dalla foto qui in basso.
Il secondo edificio daziario sopravvissuto è quello di Poggioreale, noto anche come Emiciclo di Poggioreale, che sorge di fronte il cimitero monumentale. Le condizioni del sito non sono molto diverse da quelle della struttura via Ponte dei Granili, nonostante il tetto ancora intatto. Dopo decenni di abbandono, l’Emiciclo fungerà da ingresso per la futura stazione Poggioreale della Linea 1, progettata da Mario Botta. In realtà, la struttura era inserita in un più ampio disegno di riqualificazione e di ripristino del decoro urbano di tutta l’area, progetto accantonato nel 2017 per via dei tagli di circa 100 milioni di euro sulla tratta Centro Direzionale-Capodichino della Linea 1.
Dei due Dazi conservati in buono stato, invece, c’è quello di Capodichino situato nell’attuale piazza Giuseppe di Vittorio, oggi sede del comando dei vigili urbani del quartiere. Quest’ultima destinazione d’uso ha permesso una completa ristrutturazione dell’edificio, del quale sono ben visibili le quattro colonne in stile ionico.
Originariamente, il Dazio di Capodichino comprendeva una seconda struttura in stile neogreco, detta “La Rotonda”, realizzata dall’architetto Giuliano De Fazio, che nel decennio francese progettò l’Orto Botanico di Napoli. Si presentava in forma circolare con colonne in stile dorico e una cupola. L’edificio, destinato agli ufficiali della finanza e della polizia impegnati nelle attività della riscossione del dazio, è stato demolito nel 1927, per favorire il passaggio delle linee tranviarie che attraversavano corso Secondigliano.
L’impianto della “Rotonda” – come facilmente osservabile dalle foto in basso – presentava molte assonanze con un analogo edificio daziario di Parigi, ubicato nel Parc Monceau. Tale struttura, dotata anch’essa di colonne e di cupola, apparteneva alla cinta daziaria parigina, edificata tra il 1785 ed il 1788 in stile neogreco dell’architetto Claude-Nicolas Ledoux. E’ assai probabile che Gasse e gli altri architetti napoletani impegnati nella progettazione del Muro Finanziere, guardarono alla cinta daziaria di Parigi come un vero e proprio modello di riferimento, visto anche l’influsso dell’architettura francese a Napoli nel corso del decennio napoleonico.
L’ultimo Dazio sopravvissuto è quello di Bellaria, situato di fronte la porta di Miano del bosco di Capodimonte, oggi destinato all’uso abitativo. Oltre ai dazi, è possibile osservare alcune porzioni del muro finanziario in diverse aree di Napoli: al Rione Alto (via Jannelli), al Vomero (via E.A. Mario), ai Colli Aminei (via Saverio Gatto), a Posillipo (via Torre Cervati) e a Capodimonte (via Miano). A questi si aggiunge anche un edificio appartenente al Muro, in via Vecchia San Rocco, anch’esso in stato di abbandono. Un’altra traccia importante è rappresentata dal Vecchio Cimitero Israelitico di Napoli (in via Cimitero Israelita di Poggioreale) il cui ingresso è stato ricavato da una struttura un tempo facente parte del Finanziere.
Tra le testimonianze del Muro, ricordiamo una targa visibile nell’attuale largo Antignano, nel luogo dove un tempo sorgeva il posto di guardia noto come “Posto di Casa Puntellata”. Essa presenta la seguente scritta: “qui si paga per gli regj censali”, in riferimento al dazio da pagare per accedere nella città. Da qui il Muro si estendeva per oltre un chilometro e mezzo, raggiungendo via Vicinale Camaldolilli, all’incrocio con via Simone Martini.
Nonostante l’edificazione del Muro Finanziere di Napoli, i Borbone non riuscirono né a contrastare il fenomeno del contrabbando, né a ripristinare la stabilità economica all’interno del Regno. Tra le causa del fallimento contribuì anche l’esoso finanziamento per la realizzazione della cinta daziaria, che costò ben 300.000 mila ducati per via dei molti espropri indetti per la sua edificazione. Il contrabbando sopravvisse fino alla fine della dinastia borbonica e proseguì anche con i Savoia.
Infine, l’avvento del fascismo ed il suo piano di ampliamento dei confini cittadini sia ad est (verso l’area vesuviana) che ad ovest (verso l’area flegrea), comportò la demolizione di gran parte del Muro Finanziere superstite.
Bibliografia
– Ceva Grimaldi F., Della città di Napoli dal tempo della sua fondazione fino al presente (1857), Napoli.
– Ghirelli A., Storia di Napoli (1973), Torino.
– Giustiniani L., Dizionario geografico-ragionato del regno di Napoli (1816), Napoli.
– La Gala A., L’antico borgo di Antignano (2019), Napoli.
Sitografia
– Sito del Comune di Napoli.
– Sito della Metropolitana di Napoli S.p.a.