In questo periodo di emergenza Coronavirus, c’è una parola in particolare che vediamo rimbalzare sul web, nel mondo dei social, e anche nelle conversazioni quotidiane: “quarantena”. Una parola che, generalmente, indica il periodo di isolamento a cui sono sottoposte le persone che hanno contratto il virus o i casi sospetti, e che non di rado viene utilizzata anche in modo improprio. Ma qual è il significato originario del termine “quarantena”?
La parola, in effetti, risulta essere la variante veneta di “quarantina”. Si trattava di un periodo di segregazione e osservazione di 40 giorni a cui venivano sottoposti gli individui sospettati di recare determinate malattie. La sua durata originaria di 40 giorni, in realtà, non ha alcuna valenza dal punto di vista scientifico, ma affonda le sue radici nella tradizione guidaico-cristiana.
Nella Bibbia, infatti, il numero 40 accompagna diversi momenti importanti dell’esperienza di fede. Nella Genesi il diluvio universale dura 40 giorni e 40 notti. Il profeta Mosè dimora 40 giorni sul Sinai in ascolto della Parola di Dio, e nei Vangeli è Gesù stesso a trascorrere 40 giorni nel deserto, in digiuno e in preghiera. Il numero 40 in questi casi non indica un tempo cronologico, bensì una lunga prova in grado di fortificare l’uomo nella fede.
È così che si è fatta strada l’idea della “quarantena” come pratica che poteva scongiurare la diffusione di malattie infettive. La sua durata, naturalmente, è stata in seguito ridotta in rapporto al periodo d’incubazione delle varie patologie. Uno dei primi casi in cui in Italia si adottò la pratica della quarantena è la terribile epidemia di peste del ‘300.
Il morbo della peste giunse innanzitutto a Venezia, attraverso le navi mercantili. L’epidemia ebbe una diffusione rapidissima e spinse il Maggior Consiglio a prendere una serie di provvedimenti, come murare le case dei malati e spostare i cadaveri su isole abbandonate. Tuttavia la città non volle rinunciare al suo fiorente commercio. Ben presto tutte le attività abolite a causa del contagio furono ripristinate, e questo portò pian piano alla seconda grande ondata di peste, nel 1423.
I provvedimenti adottati in questo caso furono molto più restrittivi. Per la prima volta vennero costruiti degli ospedali permanenti per i malati di peste, chiamati Lazzaretti. Il primo di questi venne costruito nel 1423, e il secondo nel 1468. Il Lazzaretto Vecchio era destinato ad accogliere gli ammalati, mentre il Lazzaretto Nuovo veniva utilizzato per i periodi di quarantena precauzionale: vi soggiornavano infatti i guariti e coloro che erano stati a contatto con persone contagiate.
A Napoli, in particolare, un duro regime di quarantena venne osservato durante la prima epidemia di colera, che si diffuse in Europa a partire dal 1817. In quel caso, furono le città del Nord come Livorno e Venezia a non prendere provvedimenti, ma altrove vennero istituiti cordoni sanitari terrestri e marittimi, e le navi furono costrette a osservare un periodo di isolamento. Solo quando il cordone di Nizza venne rotto dai contrabbandieri l’infezione cominciò a propagarsi, fino ad arrivare a Napoli nel 1837.
L’Italia conobbe in seguito diverse ondate epidemiche di colera. L’ultimo focolaio degno di nota a Napoli si registrò nel 1973, ma la nostra città riuscì a debellare l’infezione in una ventina di giorni. Forse questo è il motivo per cui, di recente, il Cardinale Sepe ha affermato che “i napoletani sono abituati ad affrontare le prove più dure”. E mai come ora dobbiamo mostrarci all’altezza anche di quest’ultima prova. Sta a noi capire il vero significato di questa quarantena, e fare in modo che non si prolunghi per tempi “biblici”…
Fonti:
Treccani
venetoinside.com
venipedia.it