La stupidità di alcune decisioni rende inopportuna qualsiasi indulgenza. Tra gli innumerevoli torti subiti da quell’unicum urbanistico/architettonico rappresentato dalla Mostra d’Oltremare (bombardamenti bellici, smantellamenti, abbandoni, mancate valorizzazioni e altre sciagure) lo sfregio più doloroso si è verificato una notte del 1981, quando nel giro di poche ore furono demolite le Serre Botaniche di Carlo Cocchia. La ferita è tanto più grave quanto più si considera che l’edificio in questione era considerato uno dei simboli del polo fieristico di Fuorigrotta, nonché una delle opere principali realizzate da Cocchia a Napoli.
A decretarne la distruzione furono alcuni funzionari della Prefettura nel disperato tentativo di affrontare l’emergenza abitativa verificatasi con il terremoto del 1980. Le Serre Botaniche furono demolite per far posto ai container degli sfollati. Assurdo ma vero, si ritenne più efficace sacrificare una delle architetture più importanti della Mostra d’Oltremare – con le conseguenti spese di demolizione – piuttosto che individuare altrove delle aree libere da destinare ai container.
Tale articolo pretende di analizzare una delle più grandi infamie a danno del patrimonio architettonico della città di Napoli. Vergogna irrimediabile, che funge però da prezioso monito per i tanti edifici ancora abbandonati della Mostra (Padiglione Rodi, Padiglione Albania, Padiglione Orientale e Padiglione Libia) da noi denunciati. Strutture che se non dovessero essere recuperate al più presto, potrebbero subire il medesimo barbaro destino toccato alle Serre Botaniche.
Le Serre Botaniche furono realizzate da Carlo Cocchia nel 1940. Tra gli architetti più attivi nella progettazione degli ambienti della Prima Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare, Cocchia progettò anche la Fontana dell’Esedra e l’Acquario Tropicale (realizzate entrambe insieme a Luigi Piccinato), il Ristorante con Piscina e il Ristorante del Boschetto.
Ubicato tra l’Acquario Tropicale e il Padiglione Albania, il complesso delle Serre Botaniche rappresentava uno dei luoghi più suggestivi della Triennale d’Oltremare, particolarmente apprezzato dai visitatori dell’epoca che – stando ad alcune testimonianze – descrissero i suoi ambienti come “delle banchine contenenti dei preziosi gioielli”.
Il complesso, strutturato in un unico edificio a corte chiusa, comprendeva un ingresso, otto serre e un’ampia corte centrale. L’ingresso ospitava un singolare atrio centrale ad impluvium decorato con fantasie maiolicate. Al suo centro sorgeva una vasca/fontana rettangolare sormontata agli angoli da quattro colonne.
Il percorso proseguiva nelle tre serre principali. Due di esse, la serra temperata arida e la serra temperata umida, erano disposte all’interno di un volume di forma rettangolare, mentre la serra delle cactee presentava una forma quadrata con una facciata esterna impreziosita da un pannello in ceramica realizzata dall’artista Diana Franco.
L’architettura delle serre era in stile razionalista, costituita da una struttura in cemento armato rivestito di bianco. Le pareti ospitavano delle ampie vetrate protette da tende mobili per regolare la luminosità proveniente dall’esterno. L’insieme delle trasparenze prodotte dalle vetrate, del bianco luminoso delle pareti e delle sfumature di colore delle essenze tropicali, contribuivano ad offrire all’insieme delle Serre Botaniche un’ambientazione suggestiva.
Il percorso proseguiva con due ulteriori ambienti espositivi. Il primo ospitava le serre delle piante acquatiche e delle felci, mentre nel secondo corpo si succedevano le serre delle orchidee, delle piante eduli e delle piante da bevanda. I due ambienti erano collegati da un gazebo arricchito da un altro pannello decorativo.
Le serre affacciavano su una corte centrale, che ospitava un’alta scultura bianca dalle sembianze di una ciminiera che offriva all’insieme un moderno tocco industriale.
Dopo una lunga chiusura della Mostra a causa degli eventi bellici, il polo fieristico riaprì nel 1952 con l’inaugurazione della Mostra del Lavoro Italiano nel Mondo. In tale occasione riaprirono anche le Serre Botaniche che, a differenza di molti altri padiglioni convertiti e adattati alle esigenze espositive della nuova mostra, non subì particolari modifiche.
La Mostra del Lavoro Italiano non ebbe il successo sperato, condannando molti edifici ad una seconda chiusura che, in molti casi, si trasformò in un lungo abbandono. Tale destino toccò anche alle Serre Botaniche di Cocchia e si protrasse fino al 1981 anno della loro sciagurata demolizione.
Nel 2005 il Comune di Napoli approvò un Piano urbanistico attuativo (Pua) per il recupero della Mostra d’Oltremare. Tra gli interventi previsti figurava anche la ricostruzione filologica delle serre. Nulla è stato mai realizzato in tal senso, e mai potrebbe realizzarsi, vista la distruzione assoluta della struttura originaria. Nel luogo dove un tempo sorgevano le Serre Botaniche con le sue piante tropicali, orchidee, felci, cactus e piante acquatiche sorge oggi un parcheggio.
Bibliografia
– Bacichi O., Cepollaro A., Costantini V., Dal Pozzo Gaggiotti A., Zaghi C., La prima mostra triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, Emporium Vol. XCII, n. 548, agosto 1940, Bergamo
– Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.
– Stenti S. e Cappiello V. (a cura di), Napoli guida e dintorni. Itinerari di architettura moderna, Napoli 2010.