5 maggio 1998, alluvione di Sarno: la frana che travolse tutto e provocò 160 morti


Tra il 5 e il 6 maggio 1998 ci fu l’alluvione di Sarno e Quindici o meglio nota come frana di Sarno.

Una tragedia apocalittica che si consumò in poche ore: un movimento franoso che colpì le aree di Sarno (SA), Quindici (AV), Siano (SA), Bracigliano (SA) e San Felice a Cancello (CE), causando la morte di 160 persone, 3mila sfollati, 180 case distrutte e oltre 450 danneggiate.

Il comprensorio di Sarno fu colpito da un eccezionale evento piovoso e in sole 72 ore caddero oltre 240/300 millimetri di pioggia. Dalle pendici del monte Pizzo d’Alvano, si staccarono due milioni di metri cubi di fango travolgendo i centri abitati vicini, tra cui l’ospedale di Sarno. Villa Malta crollò, seppellendo sotto al fango 2 medici, 3 infermieri, il portiere dell’ospedale e 5 pazienti (tra cui 2 bambini).

Tra il 5 e il 6 maggio del 1998 si consumò una delle più gravi tragedie italiane con ben 160 morti, 137 nella sola Sarno, 11 a Quindici e 5 a Siano. Episcopio, frazione di Sarno, fu totalmente rasa al suolo. Tra le vittime ci fu anche un soccorritore, il vigile del fuoco Marco Mattiucci, a cui fu attribuita la medaglia d’oro al valor civile.

Dopo questi avvenimenti la Prefettura di Napoli decise di attivare una rete di monitoraggio ambientale, per garantire un controllo delle piogge e dei loro effetti sull’evoluzione della frana.

La pioggia cadde abbondante e ininterrotta per giorni nelle province di Avellino, Salerno e Caserta ma da sola non basterebbe a giustificare quello che accadde. Secondo un dossier di Legambiente, pubblicato del 2018, pare siano state una serie di cause a provocare il disastro ambientale. La conformazione geomorfologica del territorio, che in mancanza di una copertura vegetale, sicuramente ha favorito eventi franosi lungo i versanti montuosi. Infatti le pendici dei monti dell’area di Sarno erano state sottoposte a continui incendi in quegli anni. Inoltre gli strati di origine vulcanica formatisi al di sopra delle rocce calcaree dopo le eruzioni storiche del Vesuvio, hanno meno stabilità e quindi possono essere più soggetti a smottamenti e frane.

Foto di Dipartimento Protezione Civile


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