Parte dell’omonimo complesso religioso, il chiostro di San Gregorio Armeno esisteva già in un periodo anteriore all’XI secolo, anche se la data di fondazione della struttura non è ancora conosciuta. In una documento politico viene comunque menzionata l’allora piccola chiesetta di San Gregorio Armeno, affiancata da altre tre chiesette. Tutte insieme, collocate a poca distanza le une dalle altre, furono unite per costituire un unico complesso dedicato a San Gregorio Armeno: le reliquie del vescovo furono portate a Napoli grazie alle monache basiliane che sfuggirono alla guerra iconoclasta, lotta sul culto delle immagini votive sorta a Bisanzio già nel 7oo d. C..
Ai primordi – come desunto dal volume “I chiostri di Napoli”, di Maria Rosaria Costa – il chiostro di San Gregorio Armeno era stato concepito con uno spazio verde rettangolare ed adibito parzialmente ad orto. Delimitato, poi, da undici archi per dodici. Con i dettami del Concilio di Trento (1545-1563), le suore furono costrette a rimaneggiare l’intero complesso monastico.
La prima modifica riguardò la chiesa stessa, cuore del complesso religioso che – sempre secondo le disposizioni tridentine – doveva essere esterna al convento. Il rimaneggiamento più accurato fu quello che riguardò la struttura in oggetto. Ciò in quanto il chiostro costituiva l’unico spazio esterno delle suore, il loro giardino personale che avrebbe dovuto essere, secondo il loro gusto, il più accogliente possibile.
Sotto richiesta della badessa Lucrezia Caracciolo, le opere vennero affidate a Giovanni Vincenzo Della Monica. Sotto consiglio della nobile, per l’edificio in questione, l’architetto ed ingegnere riprese il disegno del chiostro dei Santi Marcellino e Festo, anch’essa sua pregevole opera.
La scelta della badessa non fu però basata solo su un mero giudizio estetico, ma fu soprattutto funzionale. Il chiostro dei Santi Marcellino e Festo possedeva una rara qualità, ossia quella di rispondere alle esigenze delle suore di dominare, anche solo con lo sguardo, il paesaggio urbano e quello naturale.
Cinque belvederi – come testimonia il portale “Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucarestia” – resero meno faticosa la clausura: i due più bassi, ad esempio, sono accanto alla cupola e sull’angolo orientale che fa da sfondo la cupola di San Lorenzo.
Il terremoto del 1930, provocò danni ingenti all’intero monastero e i restauri successivi si rivelarono alquanto deludenti. Il fattore che ha sconvolto gli esperti dei beni culturali, è notare che fu demolita la splendida scala settecentesca che fece posto ai bagni dell’orfanotrofio, a cui era stata destinata parte del complesso religioso.
Il chiostro è caratterizzato da una splendida fontana di controversia attribuzione, realizzata per richiesta della badessa Violante Pignatelli e la stessa è affiancata da due statue raffiguranti il Cristo e la Samaritana, opere scultoree di Matteo Bottiglieri.
Inoltre, sono ivi presenti decorazioni originali ed aranci. Il creatore della struttura idrica, rimasto sconosciuto, sempre sotto richiesta della nobildonna, introdusse anche delfini, altri animali marini e maschere, tutte figure intrecciate, elemento degno del barocco napoletano, avido di forme e di spazio. Accanto alla fontana, invece, troviamo il pozzo, che assunse tale struttura solo per coprire il foro dal quale fu estratto il materiale tufaceo per le ricostruzioni.
Altra principale caratteristica del chiostro, sono le reti idriche ideate per usufruire delle acque provenienti dal condotto del Carmignano e quelle piovane, dunque in maniera completamente indipendente. I canali che facevano sopraggiungere l’acqua alle cisterne, vennero collocati su due archi rampanti sollevati tra l’orto e il portico adiacente alla chiesa.
Le cisterne furono rivestite da volte a padiglione in lapillo battuto e rese accessibili attraverso una piccola finestra, dalla quale poteva passarci tranquillamente un uomo. Il pozzo che raccoglieva le acque piovane, invece, fu posizionato lungo l’asse orientale. Ben 135 scalini conducevano ai cunicoli dell’acquedotto e a numerosi depositi ricavati negli ambienti sottostanti.