È un tardo pomeriggio di inizio marzo. Una frescura nitida ma non pungente, scandita da quel morbido torpore con il quale una primavera appena abbozzata si fa strada, in un ancor timida esplosione di calore tra le maglie dell’inverno declinante, fa da cornice al nostro cammino. Tra un dpcm e un altro, infatti, ne approfittiamo per una passeggiata – una delle tante – alla Mostra d’Oltremare di Napoli. Gli ultimi raggi del sole pomeridiano stringono il parco di una umidità gentile, quasi schiva, che infonde il verde della Mostra di un brulichio confortevole.
Un improvviso battiti d’ali colpisce la nostra attenzione. Alziamo lo sguardo e sul soffitto di una struttura fatiscente notiamo una gremita torma di colombi. Sono a decine, raccolti su quel che resta di una cupola di un giallo cupo e stinto, crollata nel suo centro. Con lo sguardo rivolto verso la costa flegrea, i colombi sembrano attendere il tramonto in una contemplazione silente. Ma è l’edificio cadente a richiamare la nostra attenzione.
Quel rudere di mattoni di tufo non è che il turpe ricordo di una vecchia chiesa. Proprio così: una chiesa nel bel mezzo della Mostra d’Oltremare. È impossibile sbagliarsi per via di quella cupola malinconica e scolorita. Perché sì, tra le decine di edifici abbandonati del polo fieristico di Fuorigrotta c’è anche un piccolo luogo di culto, praticamente sconosciuto ai più: la chiesa Cabrini.
Ci accostiamo a ciò che resta dell’edificio, ma ci è impossibile avvicinarsi troppo. L’ingresso è interdetto: una recinzione in ferro impedisce di guardare più da vicino lo scempio del suo abbandono. I cinque archi monumentali dell’ingresso sono per un terzo murati da blocchi di tufo mentre gli altri due sono preda della vegetazione spontanea. L’equilibrio precario dell’edificio ci spaventa. L’instabilità della chiesa appare così evidente che per un attimo ci sfiora un pensiero cupo: “se qualcuno potesse avvicinarsi a queste pareti, per tastarne con mano la stabilità, vedrebbe l’intera struttura crollare d’un colpo ai suoi piedi”.
Seguiamo il perimetro della recinzione e raggiungiamo il lato posteriore. Si fa presto a descrivere ciò che resta del deambulatorio e del perimetro di un vecchio chiostro: vetri rotti, porte murate, intonaco sbriciolato e degrado. L’evidenza della precarietà dell’intero edificio si fa ancora più chiara: “potrebbe non resistere alle prossime piogge”, pensiamo.
Abbandonata da cittadini e istituzioni – parole pressoché equivalenti di cui troppo spesso ci dimentichiamo la sinonimia – la vegetazione impulsiva ha pensato bene di consacrare a se stessa la piccola chiesa, ergendola a proprio altare. Non ce ne vogliano erbacee e degrado, furbissimi approfittatori dello stagnante immobilismo decisionale che da decenni grava su tantissime strutture napoletane, ma ci sembra doveroso riscattare dall’oblio questa chiesetta perlopiù ignota, al fine di offrire una misura precisa della vergogna di tale abbandono.
Non ci si illuda dunque, tale recupero dall’oblio non nasce dal desiderio di animare illusorie speranze di recupero, quanto dalla necessità di stabilire – una volta per tutte – le esatte dimensioni dell’indicibile vergogna. Perché lo spreco del patrimonio architettonico della Mostra non può più avere giustificazione alcuna. Può solo essere meditato fino alle sue estreme conseguenze, ovvero: senza alleggerirsi la coscienza con la tanto consolatoria retorica di turno.
Come per la maggior parte degli edifici della Mostra d’Oltremare, la piccola cappella sorge in una struttura che all’epoca dell’inaugurazione del polo fieristico di Fuorigrotta nel 1940 ospitava il Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa.
Inserito nel Settore Geografico della Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare – insieme alle altre cinque esposizioni dedicate a Libia, Albania, Rodi, Oriente e Africa Orientale, che documentavano le conquiste dell’impero coloniale fascista – lo scopo del Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa era la celebrazione dell’evangelizzazione del continente Africano ad opera del popolo italiano, dall’epoca romana fino al colonialismo mussoliniano.
Il Padiglione è uno dei pochissimi edifici realizzati dallo storico dell’architettura Roberto Pane, nato a Taranto nel 1897 e trasferitosi a Napoli nel 1912. All’ombra del Vesuvio il giovane Pane frequentò lo studio artistico di Vincenzo Gemito interessandosi di grafica e scultura. Con lo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò volontario nell’esercito italiano e prese parte alla spedizione di Gabriele D’Annunzio a Fiume.
Con la fine del conflitto bellico, Pane fece ritorno in Italia e riprese gli studi occupandosi di architettura, che studiò tra Napoli e Roma. Nella capitale fu allievo di Marcello Piacentini, che di lì a poco s’imporrà tra i principali architetti e urbanisti del regime fascista, la cui lezione – come vedremo – influenzerà notevolmente Pane nella progettazione del futuro Padiglione della Mostra d’Oltremare.
Tornato a Napoli, Pane lavorò per la Soprintendenza alle Antichità della Campania, instaurando un forte legame con il direttore Amedeo Maiuri, anch’egli coinvolto nei futuri lavori della Mostra. Risalgono a questi anni anche le due principali opere napoletane firmate da Pane: l’entrata occidentale della Galleria Vittoria e i Giardini del Molosiglio.
Nel corso della seconda guerra mondiale, per scampare ai bombardamenti del 1943, Pane trovò rifugio a Sorrento dove conobbe Benedetto Croce, con il quale collaborò sul fronte dell’opposizione culturale al fascismo. Nel periodo post bellico si distinse come uno dei principali antagonisti dell’abuso edilizio che colpì Napoli negli anni ’50 e ’60, in aperta polemica con Achille Lauro, sostenendo tenacemente la tutela dell’originario assetto urbano del centro storico partenopeo da ogni abuso edilizio.
La struttura del Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa è il frutto del forte dibattito sull’architettura sacra che andò diffondendosi a partire dagli anni ’20. Fulcro di tale fermento è la celebre Basilica del Sacro Cuore di Cristo Re in Roma progettata da Marcello Piacentini, maestro di Roberto Pane. Tale Basilica funse da vero e proprio modello per una nuova architettura dello spazio sacro, sorta nel tentativo di sintetizzare in un’unica composizione architettonica i due tradizionali impianti dei luoghi di culto: la pianta a croce latina e quello a pianta centrale. In tale orizzonte, Piacentini concepì una chiesa all’avanguardia, caratterizzata da una pianta lineare con cupola e transetto posti al centro dell’edificio, in una posizione intermedia tra l’ingresso e l’abside.
Influenzato dalla lezione del Piacentini, per il suo Padiglione della Mostra d’Oltremare Pane progettò un edificio dalle sembianze di una chiesa, caratterizzandolo con una pianta longitudinale e con una cupola semisferica posta immediatamente dopo il portico d’ingresso. È proprio questa particolare disposizione della cupola a rappresentare quel prezioso elemento di modernità che inserisce tale edificio nell’orizzonte di sperimentazione architettonica del nuovo spazio sacro di quegli anni.
Non solo, Pane avanzò anche una soluzione alternativa nella collocazione della cupola rispetto alla lezione del Piacentini. In quest’ultima, infatti, la cupola è sistemata al centro dell’edificio, mentre Pane la dispose immediatamente dopo il portico d’accesso, quindi all’ingresso della struttura, e non più al centro della stessa come nella Basilica del Piacentini.
Alla Chiesa-Padiglione di Pane si accedeva tramite un portico in mattoni, disposti a cortina laterizia, composto da cinque fornici, tre nella facciata d’ingresso e due ai lati, sopra le quali s’ergevano le quattro statue degli apostoli. Superato il portico, nell’atrio a pianta ottagonale sormontato dalla cupola, fu collocato il battistero.
Con il battistero aveva inizio il percorso espositivo del Padiglione ad opera dell’architetto Sergio Mezzina, introdotto da una riproduzione del fonte battesimale della Basilica di Sabratha in Libia, risalente al IV secolo. Nello spazio successivo, il grande salone basilicale impreziosito da un particolare soffitto in legno, una serie di pannelli grafici documentavano i rapporti tra cristianesimo e continente africano: dall’opera degli apostoli nel I secolo fino alla celebrazione dell’opera «di redenzione che gli avventurosi missionari, con la Croce di Cristo, hanno compiuto nelle lontane terre inospitali fra tribù barbare, ostili e superstiziose, portando per primi la voce della civiltà e il validissimo contributo politico, che doveva costruire base preziosa alla nostra futura espansione», come si legge in un approfondimento dedicato all’inaugurazione della Triennale d’Oltremare apparso sulla rivista Emporium nel luglio 1940.
In tale ottica propagandistica, particolare attenzione fu dedicata alla celebrazione delle guerre fasciste in Africa, soprattutto quelle della campagna d’Etiopia. In tale celebrazione fu commemorato, tra gli altri, Padre Reginaldo Giuliani, cappellano e militare volontario nella guerra d’Etiopia, morto nella battaglia di Passo Uarieu per il quale fu insignito della medaglia d’oro al valor militare.
Poco prima dell’abside, Mezzina collocò un sarcofago antico risalente al IV secolo, che fungeva da altare della chiesa. Pur non essendo un luogo di culto consacrato – si trattava pur sempre di un padiglione fieristico – Papa Pio XII autorizzò la celebrazione delle messe all’interno della struttura mediante una concessione straordinaria. Sopra l’altare trovò sistemazione un lungo bassorilievo dorato ad opera di Pericle Fazzini dedicato ai padri missionari, sormontato da una cartina raffigurante i possedimenti coloniali italiani.
Il percorso della mostra continuava in un ulteriore corpo espositivo annesso alla chiesa, la cui forma quadrata modellava un piccolo chiostro con cortile porticato. Tale sezione era suddivisa in sei sale che ospitavano l’esposizione dedicata all’attività missionaria in Africa.
Durante la seconda guerra mondiale, a causa dei numerosi bombardamenti che interessarono la zona di Fuorigrotta, il Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa subì profondi danneggiamenti. I danni furono di tale portata che l’edificio fu ricostruito dallo stesso Pane nel 1952 in occasione della riapertura del polo fieristico con la Mostra del Lavoro Italiano nel Mondo. In tale riedificazione l’architetto mantenne intatto l’impianto originario della struttura, convertendo però l’edificio da “spazio espositivo” a vera e propria chiesa, consacrata il 10 luglio del 1952.
Il nuovo luogo di culto fu intitolato a suor Francesca Saverio Cabrini, protettrice degli emigrati. Fondatrice della congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù – il primo ordine missionario femminile della storia della cristianità – nel 1889 la Cabrini accolse la richiesta di Papa Leone XIII di raggiungere l’America per l’evangelizzazione del continente. Tale opera di cristianizzazione portò alla conversione di molte popolazioni negli Stati Uniti, in America Centrale, lungo le Ande e in Argentina.
Alla luce della riconversione in chiesa dell’ex Padiglione, il materiale decorativo dell’edificio mutò radicalmente. Le pareti sottostanti la cupola, infatti, furono decorate con tre sequenze di graffiti che illustravano l’attività missionaria della Cabrini nei territori americani. A queste furono aggiunte anche due scene sacre, una delle quali raffiguranti la missionaria in estasi al cospetto di Cristo Redentore.
Nonostante il fallimento della Mostra del Lavoro Italiano nel Mondo, la piccola chiesa continuò la celebrazione delle funzioni religiose tanto da essere proclamata, nel 1965, Parrocchia della Mostra d’Oltremare. Ma il lento abbandono del polo fieristico comportò, nel 1984, l’inevitabile sospensione delle attività religiose con il vescovo di Pozzuoli Salvatore Sorrentino che decretò per la chiesa Cabrini la “riduzione ad uso profano non indecoroso del sacro edificio”.
In seguito la struttura fu ceduta all’Università Federico II, già titolare a partire degli anni ‘50 del vicino ex-Padiglione dell’Espansione Italiana in Oriente e – qualche anno dopo – dell’ancor più vicino ex-Padiglione Rodi. Nonostante ciò, l’Università non utilizzò mai la chiesa, limitandosi ad avvalersi degli spazi ricavati nell’ex corpo espositivo annesso alla piccola cappella e del suo chiostro.
Con il trasferimento dell’Università a Monte Sant’Angelo ad inizio millennio, l’intera struttura del Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa è abbandonata e versa in uno stato di profondissimo degrado. Tra i tanti edifici chiusi al pubblico della Mostra d’Oltremare, la chiesa Cabrini è quello che necessiterebbe dei lavori di recupero più urgenti.
Nel corso dei decenni l’edificio è stato oggetto di ben due progetti di riqualificazione. Progetti che sono rimasti sulla carta, senza avere la benché minima attuazione empirica. Il primo prevedeva il restauro della chiesa in occasione del Forum delle Culture 2013, recupero mai iniziato.
Il secondo è quello del “Grande Progetto della riqualificazione urbana della Mostra e dei suoi Beni Culturali e Architettonici” annunciato nel 2015: un vero e proprio masterplan di riqualificazione del polo fieristico di Fuorigrotta che oltre al recupero della chiesa Cabrini prevedeva anche il restauro dei vicini Padiglioni Albania, Rodi e Libia. Nemmeno questo finanziamento è mai stato stanziato, come confermato dalla Delibera della Giunta Regionale n. 338 del 14/06/2017 che rinvia «a successivi provvedimenti» la programmazione di riqualificazione dei padiglioni abbandonati.
Da allora non si hanno più notizie sul recupero dell’ex Padiglione della Civiltà Cristiana in Africa, per buona pace di degrado, erbacce e colombi che, indisturbati, proseguono il compito di custodia di quel coacervo di laterizi in rovina che oggi è la chiesa Cabrini.
Bibliografia
– AA.VV., La prima mostra triennale delle Terre Italiane d’Oltremare, in “Emporium. Rivista mensile illustrata d’arte e cultura”, agosto 1940, pp. 57-102.
– AA.VV., Prima mostra delle terre italiane d’Oltremare, in “Architettura. Rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti”, gennaio-febbraio 1941, fasc. 1-3, pp. 1-89.
– Carillo S, L’aula Basilicale di Roberto Pane alla Mostra d’Oltremare, in Casiello S., Pane A., Russo V. (a cura di), Roberto Pane tra storia e restauro, Venezia 2010.
– Piacentini M., Il tempio votivo internazionale della pace dedicato al Sacro Cuore di Cristo Re, in “Architettura Rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti”, settembre 1934, pp. 513-531.
– Siola U., La Mostra d’Oltremare e Fuorigrotta, Napoli 1990.
– Stenti S. e Cappiello V. (a cura di), Napoli guida e dintorni. Itinerari di architettura moderna, Napoli 2010.