L’espressione dialettale, “portare scarogna o scalogna“, significa portare sfortuna, iella. L’origine del modo di dire è però incerta e dibattuta, in quanto, c’è chi ritiene che derivi dal termine latino calumnia (calunnia), ipotesi prevalentemente dotta, ma la maggior parte lo collegano allo scalogno, una specie di cipollotto.
Secondo la tradizione popolare lo scalogno era uno degli alimenti più diffusi tra i meno abbienti e da qui deriverebbe il fatto che porta povertà, disgrazia. Numerose sono le fonti antiche che citano lo scalogno, a partire da Plinio, che nomina la caepa Ascalonia, la cipolla di Ascalona, come ingrediente culinario, oppure lo studioso friulano Valentino Osterman (‘La vita in Friúli’) racconta che “Chi tocca quest’erba sarà per quel giorno sfortunato nel giuoco; e quando a uno le conte sono contrarie, gli si dice: ‘ce scalogne c’i tu as’. Anche il Cherubini nel ‘Vocabolario milanese-italiano’ cita lo scalogno come sinonimo di miseria.
Sembra dunque probabile che l’origine sia da ricercarsi nel fatto che cipolla e scalogna erano il cibo dei poveri e quindi erano anche sinonimi di miseria. Questo perché lo scalogno è una pianta che secondo la superstizione porta iella, ma mentre il termine botanico è sempre esistito, fin dall’antichità, la sua accezione negativa si è diffusa soprattutto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, quando le cipolle e le/gli scalogne/i erano cibi di mense povere e quindi sinonimo di miseria. Da qui, forse, la convinzione popolare che la sfortuna al gioco perseguitasse chi quel giorno avesse toccato cipolle.
Quindi portare a qualcuno un bel cesto di tali verdure era (e forse potrebbe esser ancora attuale) come dargli del pezzente e augurargli di finire in miseria, contrapposto ad una bella corona d’aglio o ad un mazzo di peperoncini.