Il termine “jacuvella” (o ghiacovella) a Napoli è presente almeno dal XIV secolo, ma è nel Cinquecento che si ha notizia certa con Colantonio Stigliola (1548-1623), quando nell’appendice della sua Eneide in lingua napoletana (un primo tentativo di dar vita ad un vocabolario napoletano), mise la parola “ghiacovella”, per intendere una “tenerezza affettuosa”.
A quell’epoca, le ghiacovelle erano le moine, i dispettucci da innamorati, i vezzi, infatti c’è chi lega l’etimologia della parola al latino “jaculum“, dardo (riferita alla freccia d’amore scoccata da Cupido). Pur essendo un termine molto antico è ancora in uso nel gergo quotidiano napoletano e di tutta l’area linguistica campana ed inoltre i suoi significati si sono moltiplicati nel tempo. Viene usato principalmente per indicare dei “tira e molla” inutili, “na jacovella” è una situazione che non si conclude, che non procede.
Ma nella parola jacovella c’è anche qualcosa di grottesco, di ridicolo, che a poco a che fare con l’altro significato. “Jacovella”, secondo alcuni, deriverebbe infatti anche dalle imprese teatrali di “Jacoviello”, (vezzeggiativo di Jacovo=Giacomo), traduzione italiana di “Jacque“, il contadino sempliciotto eroe di tante imprese del teatro comico francese e popolare anche a Napoli. Tale Giacomo era un personaggio sciocco, semplicione e pauroso che fu preso a modello e trasferito nella mentalità popolare dove la locuzione “fare giacomo giacomo” rappresenta l’essere tremabondi, impauriti di tutti coloro che agiscono davanti ai pericoli come quel contadino sciocco, pauroso e semplicione al quale in scena tremavano le gambe. A tal proposito vale la pena ricordare che anche il termine giacca/giacchetta deriva dal francese jaque/jaquette che veniva usato proprio per indicare la tipica giubba indossata dal contadino Giacomo.
Escludendo la sua derivazione latina, ipotesi considerata più dotta ed intellettuale, l’origine del termine andrebbe ricercato nella sua genesi più popolare, dove nacque e si diffuse la parola “jacuvella”.