Tra i vicoli e le ripide salite di Capua, precisamente in via Luigi Baia, è la Basilica di Sant’Angelo in Formis che domina incontrastata su di un panorama mozzafiato tra colline e verdi vallate: una chiesa ricca di storia e pregna di fascino medioevale. Seppur di piccole dimensioni la storica chiesa è una vera e propria perla che porta con sé le testimonianze più significative del passaggio dei secoli, sia dal punto di vista religioso sia dal punto di vista artistico. La bellezza della piccola chiesetta si concretizza nel meraviglioso ciclo di affreschi, nell’architettura e nel portico anch’esso affrescato che come per magia, fa viaggiare nel passato sino a Longobardo, figlio di Landolfo V principe di Benevento, nel 1027 . Nevralgico luogo di culto già prima che Capua entrasse nell’orbita del dominio etrusco, Sant’Angelo in Formis racchiude in sé un’antica vicenda storico-religiosa di un remoto passato. Sede di un tempio forse già dal VI sec. a.C., la chiesa era dedicata alla dea Diana, portatrice della cultura villanoviana, culto persistente anche in piena età cristiana.
In effetti in questa località del monte Tifata (in etrusco “boschetto coperto di lecci” – ndr) s’individua la divinità femminile Diana, assimilata alla “signora dei boschi”, inserita quindi in uno spazio selvatico, in una regione prevalentemente montuosa di lussureggiante vegetazione, copiosa fauna e trasparenti acque: così le origini di Sant’Angelo in Formis si perdono nella più lontana antichità. Tra storia e leggenda Capua gravitò nell’interesse dei Romani verso il II sec. a.C. e così fu sottoposta a vari interventi architettonici: nel 99 a.C. la chiesa fu arricchita dal porticato esterno, da un vestibolo e da mura perimetrali che si uniranno con la scala d’ingresso; nel 74 a.C. inoltre vi furono altre modifiche documentate da un’iscrizione rinvenuta nell’antico pavimento a mosaico della Basilica: si tratta dell’allungamento del podio e delle colonne in marmo che assieme ad altri elementi decorativi andarono ad arricchire Sant’Angelo in Formis. La facciata della piccola abbazia riassume la sua caratteristica nel portico voltato a cinque fornici, di cui quello centrale più ampio ed elevato, di chiaro richiamo orientale; lateralmente sostenuto da grossi pilastri di tufo grigio, il portico presenta colonne di marmo, cipollino e granito, con capitelli corinzi. Sopraelevato su due gradoni si apre il portale d’ingresso in marmo bianco e sull’architrave vi è un’iscrizione che indica l’abate Desiderio come curatore della ricostruzione dell’edificio. Inoltre di particolare rilevanza artistica sono le due lunette affrescate con l’arcangelo Michele e la regale icona della Vergine orante riprodotta nella classica maniera bizantina, con diadema, collare e stola cosparsi di gemme. Infine alla destra della Basilica sorge un poderoso campanile a pianta quadrata.
Seppur semplice nella sua linearità lo splendore di Sant’Angelo in Formis è da attribuire al magnifico ciclo di affreschi: qui la Parola di Dio antica e neotestamentaria del periodo bizantino, prende colore, si fissa indelebile sui muri e si trasforma in un annuncio visivo per i fedeli, sviluppandosi in un programma coerente, sintetico e cristologico. Sulle navate laterali vi sono episodi tratti dall’Antico Testamento disposti su due registri sovrapposti, suddivisi in riquadri distinti da alberi flessuosi; nella navata centrale episodi dal Nuovo Testamento con miracoli e parabole distinti tra loro da colonnine di varia forma. Le scene più ‘forti’, come l’ascensione, la crocifissione e la resurrezione, occupano più spazio sulle pareti: parte del ciclo è andato perduto ma ciò che rimane racconta ampiamente cos’era la storia dell’arte romanica di tutto il Meridione d’Italia.
Varcata la soglia di Sant’Angelo in Formis, l’attenzione viene subito catturata dall’immagine maestosa del Cristo in Gloria nel catino absidale centrale: è proprio da qui che comincia la chiave di lettura dell’impaginazione pittorica dell’abbazia. Di chiaro riferimento apocalittico con la Biblia Picta, la figura del Cristo Pantocrator, assiso sul trono preziosamente ornato e immerso in un intenso blu cobalto, sembra quasi accogliere chi entra in chiesa, benedicendo con la mano destra nel tipico atteggiamento “alla greca”; nel registro inferiore sono rappresentati i tre arcangeli con un piccolo globo cristallino tra le mani, secondo la tradizione costantinopolitana.
Altra rappresentazione degna di nota è l’abate Desiderio che reca tra le mani il modello stesso della basilica, nell’atto di offrirla come dono a Cristo; circondato da un nimbo quadrato, l’abate indossa un ampio piviale con una tonaca di broccato d’oro e gemmata. Tantissimi altri ‘segni’ sono presenti negli affreschi come: la colomba, simbolo dello Spirito Santo; una fascia iridata che ricorda l’arcobaleno dell’Apocalisse e il ‘mare cristallino’ sui cui Cristo poggia i suoi piedi sullo sgabello.
Le figure sulle colonne affrescate, così come il piano di calpestio e le absidi, sono state sottoposte nel corso degli anni a frequenti e costanti restauri dalla Sovrintendenza. Oggi Sant’Angelo in Formis è meta prediletta per molte coppie di sposi che vogliono suggellare il loro sacro giuramento in un’atmosfera intima, accogliente e colma del fascino del passato, descritto in ogni piccola pennellata, da ogni singola colonna, in ogni finestra ogivale. Un tuffo emozionante nel Medioevo viaggiando con l’arte.