Lungo la Calata Capodichino di Napoli potete ancora scorgere un’enorme salita privata, protetta da cancelli e attorniata da una fitta vegetazione: si tratta dell’ex Istituto psichiatrico Leonardo Bianchi, dove si accoglievano i malati di mente con disturbi vari; sino al 1519 nel Regno di Napoli era l’Ospedale degli Incurabili che si occupava di malati ritenuti folli o con disturbi psico-fisici, in una determinata area denominata “pazzeria”.
Oggi l’Istituto Leonardo Bianchi (chiamato in questo modo in onore del famoso neurologo e psichiatra, laureato in Medicina e Chirurgia all’Università Federico II di Napoli – ndr), ospita solo un ufficio amministrativo della Regione e tantissimi archivi che custodiscono antichi faldoni e documenti dei malati che ivi si trovavano dal 1909 sino agli anni ’80. A percorrere i lunghi corridoi pavimentati in marmo, a osservare le alte arcate delle stanze e le trombe delle scale con le ascensori protette da gabbie e grate in ferro, ancora si percepisce tutto il dolore e la follia che doveva albergare in questi luoghi. Le camere ancora sono arredate da letti e comodini; fotografie in bianco e nero tappezzano le pareti offrendoci uno scorcio su cosa dovesse rappresentare vivere in nosocomi e manicomi del genere.
Nel 1930 durante la direzione Sciuti, erano ricoverati circa 1609 infermi di cui 939 uomini e 670 donne, inoltre a ben 29 padiglioni ne vennero aggiunti altri 4 da adibire alle lavorazioni; infatti i folli ricoverati nell’Istituto Leonardo Bianchi erano impegnati anche con attività legate alla terapia: i malati lavoravano nella calzoleria, in un laboratorio per lo sparto e la saggina, nella tipografia e nella legatoria, ma anche in una fabbrica di mattonelle, nella falegnameria, in un’officina meccanica, nella sartoria e tessitoria e in un panificio, essendo costantemente guidati e poi “premiati” con tabacco o denaro. In soli venti anni la struttura si era infatti dotata di una grande biblioteca scientifica (circa 8mila volumi, 2mila opuscoli e molte pubblicazioni scientifiche – ndr), una biblioteca per i folli ricoverati, gabinetti per la ricerca di bromatologia, chimica clinica, anatomia patologica e sierologica.
Lo scoppio della guerra tuttavia provocò un periodo estremamente duro e difficile, poiché la mancanza di personale sanitario preposto chiamato al fronte e la scarsezza di medicine e cibi causò notevoli difficoltà terapeutiche e gravissimi disagi ai degenti ricoverati: tutta la struttura subì i bombardamenti e le frequenti incursioni aeree nemiche, finché nel 1943 le truppe angloamericane penetrarono nell’edificio occupandolo. Soltanto negli anni ’50 la documentazione testimonia un graduale stato di serenità: l’Istituto Leonardo Bianchi si estendeva come oggi, lungo tutta la collina a Nord-Est della città, a 85 m dal mare per 220mila mq con molti spazi verdi. Alcune innovazioni dell’Istituto vanno collegate al merito del professor Bianchi che dedicò i suoi studi al cervello e alle funzionalità legate alla corteccia celebrale: in primis abolì l’uso della camicia di forza, ritenuta un metodo di tortura contro l’umanità dei degenti ricoverati, ma a ciò si accompagnò anche la dotazione di attrezzature specifiche come il laboratorio micrografico, di antropologia, di elettroencefalografia ed elettroshockterapia.
Erano presenti sezioni di osservazione per i malati cronici, reparti geriatrici e di ergoterapia, reparti isolati per i contagiosi di malattie infettive, centri di assistenza per minori e ludoteche. Tutto ciò in un’atmosfera alquanto lugubre e insana che ancora oggi è palpabile all’interno dell’Istituto Leonardo Bianchi. Un progetto tra Regione, Comune e Provincia vedrebbe a breve, un recupero dell’Istituto atto a tramutarlo in un vero e proprio Museo della Filosofia, ma ancora non si conoscono bene le tempistiche e le logiche di tale notizia ancora in fase embrionale. E sopratutto, chi pagherebbe un biglietto per visitare un sito così spettrale, dove i malati erano ritenuti pazzi, folli e insani? L’Istituto Bianchi quindi diverrà un ‘polo della cultura’ o rimarrà così abbandonato, custode di terribili segreti del passato?
Bibliografia:
– Ottorino Fragola, Leonardo Bianchi, Napoli 1917.
– Andrea Jelardi, Giuseppe Moscati e la Scuola Medica Sannita, Benevento 2004.
– Villone & Sessa, Il Patrimonio culturale dell’ex ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi, Napoli 2010.