“Si duorme o si nun duorme bella mia,
siente pe’ nu mumento chesta voce…” In questi versi è racchiuso il successo di Ferdinando Russo. Poeta e autore di canzoni napoletane come “Scetate”, che gli consegnò la celebrità, Russo fu anche uno dei più noti esponenti e frequentatori dei salotti napoletani. Nacque a Napoli nel 1866, pochi anni dopo la fine del Regno delle Due Sicilie. Dopo aver abbandonato gli studi entrò come correttore di bozze alla “Gazzetta di Napoli” e fondò dopo poco il “Prometeo”, un periodico letterario che ebbe vita breve.
Spinto da una forte curiosità verso tutto ciò che lo circondava, Russo descrisse i disagi delle classi più deboli, indagando sulla malavita e sulla prostituzione, finendo anche dinanzi un magistrato con l’accusa di offesa alle istituzioni. I suoi scritti erano, inoltre, caratterizzati da forti critiche nei confronti di Garibaldi. In Russo coesistevano il giovane ribelle e il genio artistico tanto che fu autore anche di svariate macchiette come “O pezzente”, “San Gennaro” e “L’elegante”, interpretata da Nicola Maldacea, uno dei più celebri cantanti dell’epoca.
Il vero successo arrivò con “Scetate”, una serenata scritta nel 1887 e musicata da Mario Costa. Lasciato il lavoro al giornale entrò come impiegato al Museo Nazionale. In questi anni, l’artista iniziò diverse collaborazioni che lo portarono a scrivere alcuni dei suoi brani più famosi. Con il musicista Rodolfo Falvo scrisse “Tammurriata Palazzola” e dopo aver incontrato Vincenzo Valente produsse “Manella mia” e “Serenata a Pusilleco”. Ma il sodalizio più proficuo fu quello con Emanuele Nitti, da cui nacque “Mamma mia che vò sapè”.
Nel corso della sua carriera, Russo fu spesso criticato dal filosofo Benedetto Croce e da Salvatore Di Giacomo, suo acerrimo rivale. Fu invece ammirato dallo scrittore Giosuè Carducci fino al 1891. In questo anno, infatti, Russo, incontrato in un locale Carducci, fece eseguire “Scetate”, in onore della sua allieva Annie Vivanti. Lo scrittore italiano si ingelosì al punto di decidere di non rivedere più l’autore di quella melodia.
Artista nell’anima, il poeta non poté che sposare una sciantosa. Ma l’unione con Elisa Rosa Pennazzi, naufragò dopo poco a causa della gelosia della donna. A matrimonio concluso Russo scrisse “Nun me guardate cchiù”, cantata da Diego Giannini.
Lo scrittore napoletano fu anche poeta. Tra le sue raccolte spiccano “Poesie napoletane”, del 1910, “Villanelle napoletane”, pubblicata nel 1933 e “Suspiro ‘e Pulcinella”, rivelata solo dopo la sua morte. Amante della musica, Russo si esibì anche come cantante, eseguendo il suo pezzo “E denare d’o nfinfirinfi” al Modernissimo di Napoli. L’artista si interessò anche di archeologia e diresse la Poliphone, casa editrice musicale tedesca con sede nel capoluogo campano. Morì nel 1927 lasciando come testamento i versi di una nuova canzone che esprimono ancora oggi tutto l’amore che Russo ha provato per la sua terra: “Napule ride ‘nta ‘na luce e sole/ Chien’e fenestre aperte e d’uocchie nire”.
Fonti: Salvatore Palomba e Stefano Fedele, “Le Canzoni di Napoli”, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2009
Antonio Venci, La Canzone Napolitana, Guida, Napoli, 1955