Anticamente era nota con il nome di Pithecusa, poi fu descritta da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia come Aenaria, oggi la chiamiamo Ischia. Il primo insediamento, creato dagli Eubei, sorse tra il 775 e il 760 a. C. nella parte nord di Lacco Ameno, lì dove poteva essere protetto, su tre lati dal Monte Vico e a est e a ovest dalle insenatura “Sotto Varule” e San Montano, che costituivano il porto e il riparo delle navi in caso di attacchi. Questi elementi naturali permisero al villaggio di ubicarsi nella pianura di Santa Restituta. I resti rinvenuti nel territorio, provenienti da Grecia, Egitto, Etruria, Puglia e Calabria, dimostrano che Pithecusa fu, anche se solo per un breve periodo, un’importante tappa commerciale per coloro che facevano rotta per i mari occidentali. Il suo ruolo fu poi affidato a Cuma dal 725 a. C. Nonostante il sorpasso della colonia greca, l’isola riuscì comunque a sopravvivere grazie alle numerose risorse naturali di cui era provvista. In particolare si specializzò nella costruzione di oggetti di corredi funerari detti pìthoi, cioè enormi vasi di ceramica con manici ai lati superiori, rinvenuti anche in altre zone della Campania.
Ma dove è stato possibile ritrovare i resti dell’antica Pithecusa? All’interno della necropoli scavata nella valle di San Montano, un’area di oltre millecinquecento metri quadri comprendente più di duemila tombe datate tra l’VIII secolo a. C. e il III secolo d.C. I primi reperti furono portati alla luce dall’archeologo tedesco Giorgio Buchner che iniziò gli scavi sull’isola a partire dal 1952. Vasi, suppellettili, monili, monete, fibule e sigilli orientali, portati come amuleti, sono stati ritrovati e datati. Di particolare interesse sono alcuni scarabei, fra tutti un esemplare che reca inciso il prenome del faraone Bocchoris, sovrano della XXIV dinastia, che probabilmente regnò dal 720 al 715 a. C. L’insetto è stato ritrovato all’interno di una tomba di un bambino di due o tre anni.
Sono stati rinvenute anche particolari tipologie di ciotole dette kotýle, unici esemplari ritrovati in Italia. Ed è proprio un kotýle il reperto più famoso della necropoli di San Montano: la coppa di Nestore. La tazza geometrica datata 725 a. C. e ritrovata all’interno della tomba di un bambino di dieci anni, fu importata a Pithecusa da Rodi probabilmente insieme ad altri recipienti contenenti unguenti orientali. Sulla coppa è incisa, da destra verso sinistra, una delle più antiche iscrizioni metriche in greco che rappresentano, inoltre, il primo frammento noto di poesia risalente ai tempi di Omero. L’epigramma, formato da tre versi, allude alla coppa descritta nell’Iliade: “La coppa di Nestore era certo buona a bersi. Ma chi berrà da questa coppa subito lui prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona“. Il reperto sarebbe intitolato a Nestore, mitico re di Pilo, il più saggio e il più vecchio tra i sovrani che guidarono l’esercito greco contro Troia. La coppa, insieme con altri reperti della necropoli, è custodita all’interno del Museo Archeologico di Pithecusae.
Fonti: Cesare De Seta, Alfredo Buccaro, “I centri storici della provincia di Napoli”, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2009
“Napoli e dintorni”, Milano, Touring Editore, 2001
Lorenzo Braccesi, “Hesperìa: studi sulla Grecità di Occidente”, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1993