Monastero di Sant’Arcangelo a Baiano: i delitti e l’eros delle “suore ribelli”
Feb 17, 2019 - Michele Di Matteo
“Di orrenda memoria, ma per diversa ragione, non perché infestato di spiriti, ma perché bruttato da fatti di libidine, di sangue e di sacrilegio, era il vicolo di Sant’Arcangelo di Baiano, dove si vedeva ancora la chiesa superstite dell’antico monastero di monache benedettine, abolito nel 1577“. Così il filosofo e storico napoletano Benedetto Croce in merito alla cronaca leggendaria di uno dei luoghi di culto più misteriosi ed esoterici di tutta Napoli, il monastero di Sant’Arcangelo a Baiano appunto, ubicato in quel di Forcella.
Fondato dai monaci basiliani in onore di Michele Arcangelo e di san Pietro nel VI secolo d. C., sui resti di un antico tempio pagano dedicato ad Ercole, deve probabilmente la locuzione “a Baiano” alla presenza in zona dell’importante famiglia dei Baiani, del seggio della Montagna, provenienti proprio da Baia.
Ed era propria una discendente di questa famiglia, Laura de’ Bajani, la badessa del monastero quando tutto ebbe inizio. Sotto di lei dal 1540 diciotto suore, tutte appartenenti all’aristocrazia locale. Fatto per nulla insolito, dato che all’epoca la nobiltà obbligava le secondogenite a prendere i voti in modo da garantire ricche doti alle prime nate, maritandole a uomini di alto rango. A queste 18 sorelle ben presto se ne aggiunsero altre quattro, anch’esse di nobili famiglie: Agata Arcamone, Laura Frezza dei patrizi di Ravello, Chiara Sanfelice dei duchi di Bagnoli, e Giulia Caracciolo Rossi dei principi di Avellino.
Le quattro giovani suore presero a condurre una vita agiatissima (avevano stanze sontuose e persino ancelle personali) e soprattutto libidinosa, almeno stando a quanto una certa suor Eufrasia riferì alla successiva badessa Costanza Mastrogiudice, ovvero che Giulia Caracciolo aveva una relazione segreta con un marchese, mentre suor Lavinia Pignatelli se la intendeva con un mercante. Nell’indagare sulla vicenda la madre superiore fu testimone dell’aggressione mortale degli sgherri del principe di Garagusa a danno dei sia del marchese che del mercante.
Fu solo l’inizio di crimini efferati. Di lì a poco, infatti, la madre badessa morì avvelenata. La nuova superiora, Elena Marchese, fu anch’essa uccisa, stavolta da suor Zenobia Marchese e dal suo amante, i quali la pugnalarono e scapparono, coperti da altre suore che si adoperarono anche di togliere da mezzo consorelle complici o scomode testimoni: Chiara Sanfelice, uccisa con il pugnale, e suor Camilla Origlia, buttata giù da una finestra. Queste morti vennero fatte passare come suicidi.
Si organizzò dunque un banchetto per metter pace in convento, ma alcune suore denunziarono lo stato di cose al padre confessore Andrea d’Avellino, dell’Ordine dei Chierici Regolari Teatini di San Gaetano, che perquisì le celle e interrogò le religiose. Con l’autorizzazione dell’ arcivescovo di Napoli don Pietro Carafa, Andrea d’Avellino chiese al vicario criminale del Tribunale di intervenire con i suoi gendarmi.
Il processo venne presieduto da monsignor Reviva, vicario generale diocesano, che fece frustare tre suore sospettate di aver ucciso Eufrasia D’Alessandro, Chiara Sanfelice e Lavinia Pignatelli. Altre 9 consorelle furono mandate in quattro diversi conventi. L’ordine di Sant’Arcangelo venne sciolto e il complesso sconsacrato.
Il monastero rimase chiuso fino al 1645, quando fu ripristinato come romitorio maschile e affidato ai Frati Bianchi o della Mercede. I padri ricostruirono convento e chiesa. Dai primi anni dell’800 il complesso religioso rimase di nuovo disabitato e la chiesa sconsacrata. I monaci vennero trasferiti in altri conventi. Si disse che nel monastero vi fossero stati casi di possessione, e la gente per anni affermò che dall’interno venissero urla e si verificassero apparizioni spettrali.
La più suggestiva riguarda la già citata suor Agata Arcamone di cui, una volta sorpresa in una tresca amorosa, si persero le tracce: per alcuni lasciò per sempre Napoli, secondo altri, invece, il suo fantasma si aggirerebbe ancora oggi tra le mura del monastero, che lei considerò sempre una prigione.
Non si sa bene dove finisca la cronaca e dove cominci la leggenda, ma è certo che all’epoca e per alcuni secoli a venire i fatti del monastero di Sant’Arcangelo a Baiano furono molto famosi, tanto che lo stesso Stendhal vi dedicò un libello di grande successo, pubblicato prima in Francia (1829) e poi in Italia (1860).
Oggi il monastero risulta ancora abbandonato.
FONTI:
Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli, Napoli Sacra, I itinerario, Napoli 1993.
Italo Ferraro, Napoli. Atlante della Città Storica. Quartieri Bassi e il “Risanamento”, Napoli 2003.
Bartolommeo Capasso, Topografia della città di Napoli nell’XI secolo, Napoli 1895.