Napoli dentro Napoli, offerta sulle bancarelle del caratteristico mercato, presa in prestito dai pochi turisti che vi passano, ardente di vita come gli scugnizzi tra i cippi: ‘o buvero, il borgo di Sant’Antonio Abate è questo ed altro ancora. Ottocento metri di strada che fa da ponte tra piazza Carlo III e Porta Capuana, non lontano dal centro storico.
A dire il vero, il più storico tra tutti i quartieri partenopei, perché ‘o buvero conserva la propria struttura inalterata addirittura dal XV secolo. E’ di poco precedente la chiesa che ha poi dato nome all’intero borgo – e di cui rappresenta una sorta di ingresso -, risalente al 1313. Inizialmente doveva essere un convento di monaci Antoniani, cui si affiancarono ben presto un lazzaretto e un ospedale.
Lo stesso Sant’Antonio Abate, d’altronde, era ritenuto capace – tra gli svariati miracoli attibuitigli – di guarire l’herpes (detto non a caso “fuoco ‘e Sant’Antonio”) col grasso di maiale. Per questo molte persone erano anche solite donargli dei maialini, spesso in cambio proprio dell’inguento medicamentoso.
Motivazioni purificatrici e sempre legate alla figura del monaco eremita di origini egiziane si scovano dietro i celeberrimi “cippi”: usanza del dar fuoco a oggetti vecchi e cianfrusaglie, praticata con l’avvento del Carnevale e mirante ad allontanare gli elementi negativi e la sfortuna dalla propria famiglia e dalla propria casa.
Una casa molto grande e festosa, quella del buvero. Già, perché l’economia e il folklore del quartiere sono vivamente rappresentati dal mercato che si tiene tutti i giorni e presso il quale si può trovare di tutto: frutta e verdura, pane e pizzette, sfogliate e babà, vestiti e oggettistica. Soprattutto si può trovare l’anima dei napoletani, umili ma sorridenti alla vita. Proprio come insegnava Sant’Antonio.