Santa Maria Stella Maris. Storia di una chiesa ridotta in stato di rudere
Apr 21, 2015 - Andrea Damiati
Passeggiando per la città di Napoli è bello perdersi. Ed è bello ritrovarsi in spazi caratterizzati da episodi architettonici interessanti ma, spesso, versanti in forti condizioni di degrado e abbandono. Al punto tale da non necessitare di un occhio particolarmente “attento”: chiunque vi si trovi a passare, ad esempio, nella piazzetta del Grande Archivio, non può non notare una piccola chiesa abbandonata, che chiude l’angolo con via Lucrezia D’Alagno.
E l’attenzione ricade su di essa per due semplici motivi: uno è da ricercarsi proprio nello stato di in cui si presenta, quel degrado che tanto affligge e tanto affascina nello stesso tempo, l’altro è che va ad “incorniciarsi”,dall’antistante piazzetta, all’interno della fontana della Sellaria, di recente restaurata, attraverso cui poter scattare una foto “particolare” al suo prospetto, sovrapponendo stili e momenti storici diversi.
La storia. Si tratta della chiesa di Santa Maria Stella Maris (Santa Maria Stella del Mare) costruita agli albori del XX secolo (precisamente nel 1907 a cura della Reale Arciconfraternita dei Caciolii) in sostituzione di un’altra demolita e che ospitava dal 1561 la congrega dei venditori di ferri, poi quella dei Tavernari. E’ una chiesa costruita, dunque, in età contemporanea, attribuibile allo stile architettonico neogotico, che voleva una riproposizione di elementi e forme dell’architettura gotica, palesando una sorta di “revival” (come era definito in Inghilterra) dell’architettura medioevale.
Anche se è stata oggetto di critiche inerenti il riconoscimento come opera d’arte, la chiesa, come oggi si presenta, con i suoi archi a sesto acuto sia in facciata che nelle pareti laterali, al cui interno si iscrivono finestre bifore, meriterebbe un attimo di attenzione.
Indubbiamente prioritarie risultano le attenzioni da dedicare ai monumenti storici universalmente riconosciuti (e che comunque spesso versano in stato di incuria e degrado!) ma è giusto iniziare almeno anche solo a “pensare” di riattivare in qualche modo quel piccolo spazio chiuso, forse adibito a deposito o che altro, destinandolo alla collettività, oppure mettendolo a disposizione dei residenti in quell’area, attivando un processo di conservazione e recupero di un’architettura che, nonostante non abbia una lunghissima storia (e lasciando a chi di dovere valutazioni sull’istanza estetica), ne è comunque parte integrante e per questo meritevole di attenzione.
Fra l’altro “richiama” un evento storico ben preciso, in quanto fu edificata (quindi ne fu “conseguenza”) a seguito di un episodio che ha letteralmente stravolto i canoni urbanistici (e non solo) di una città, il Risanamento, post epidemia di colera del 1884.
Potrebbe dunque leggersi come un tentativo da parte della comunità di artigiani, di quel “che restava” del quartiere Pendino, di offrire un punto di riferimento per il culto. In questo spazio dal sapore neogotico si sono, dunque, fino all’abbandono definitivo, intrecciate le storie di tante famiglie del quartiere in un epoca di grandi stravolgimenti urbanistici ma anche sociali, economici, culturali, a cavallo tra i due, immediatamente successivi, conflitti mondiali.
Questo articolo fa parte della rubrica a cura di Vesuvio Live dedicata alle Chiese di Napoli.
Questo articolo fa parte della rubrica sulle Chiese di Napoli .”Napoli, la città delle 500 cupole”.