Che cosa hanno in comune il chiostro della Certosa di San Martino, la chiesa di San Ferdinando e quella dell’Ascensione a Chiaia? Tutte sono state realizzate da Cosimo Fanzago, “l’anima barocca” di Napoli. Al pari di molti altri illustri esponenti del barocco napoletano, il celebre scultore non nacque nel capoluogo campano, ma a Clusone, in provincia di Bergamo, nel 1591. Arrivò a Napoli quando ebbe compiuto diciassette anni anche se il primo documento che lo attesta in città è del 1612, e riguarda un contratto di lavoro che stipulò con lo scultore fiorentino Angelo Landi. Dopo tre anni ricevette dal cardinale Carafa l’incarico di scolpire il monumento funebre di un suo parente, Mario Carafa, da situare nella Santissima Annunziata, e in seguito gli fu anche affidata la realizzazione dell’epitaffio marmoreo dedicato al cardinale Ottavio Acquaviva nella Cappella del Monte di Pietà. Da questo momento in poi Fanzago lavorò principalmente per il clero e la nobiltà napoletana.
Egli però diventò ben presto famoso anche per il suo carattere impetuoso e violento. Si narra che aggredì il muratore Nicola Botti nel 1623, uccidendolo poi due anni dopo. Risaputa fu anche la sua partecipazione alla rivolta di Masaniello nel 1647 che lo costrinse a fuggire a Roma per dieci anni, evitando così la condanna a morte. Inoltre Fanzago fu anche protagonista di una difficile battaglia legale che i certosini di San Martino iniziarono contro di lui, poiché lo accusarono di non aver rispettato le scadenze decise precedentemente. Eppure fu proprio questo lavoro a consacrare lo scultore come rappresentante dell’arte barocca.
Lavorò alla certosa per trent’anni, realizzando le statue di San Bruno, San Pietro e San Martino, cinque dei sette busti dei certosini nel Chiostro grande e diversi lavori di ammodernamento del complesso che interessarono la facciata, la cappella di san Bruno e la pavimentazione del coro e della navata. Tra il tra 1643 e il 1654 Fanzago disegnò la cappella di Sant’Ignazio da Loyola, nel transetto del Gesù nuovo, arricchendola con le statue dei profeti David e Geremia. Inoltre come dimenticare palazzo Donn’Anna, gioiello situato a Posillipo, voluto da Anna Carafa consorte del duca di Medina de las Torres. L’edificio, per via della morte della proprietaria, rimase incompiuto diventando così luogo di mistero e leggende. L’opera in cui egli meglio mostrò la sua abilità scultorea fu la cappella Cacace nella chiesa di san Lorenzo Maggiore. Conosciuta anche come cappella del Rosario, in memoria di un dipinto di Luca Giordano trasferito al Museo di Capodimonte, fu realizzata con marmi policromi, soprattutto lapislazzuli.
Oltre che con la costruzione di palazzi e edifici religiosi, Fanzago ha cambiato il volto di Napoli anche attraverso opere simbolo della città come la guglia di San Gennaro, eretta nel 1636 come ringraziamento per la protezione del santo sulla popolazione durante l’eruzione del Vesuvio del 1631, e la fontana del Sebeto, progettata dallo scultore bergamasco ma effettivamente costruita dal figlio Carlo. E forse è per tutte queste grandi opere che Napoli ha deciso di dedicare a Fanzago uno slargo situato al Vomero, tra Piazza Vanvitelli e Piazza Medaglie d’Oro.
Fonti: Francesco Abbate, ”Storia dell’arte nell’Italia meridionale”, Roma, Donzelli, 2002
Cristian Bonetto, Josephine Quintero, “Napoli e la costiera Amalfitana”, Lonely Planet, 2013