Michele Piacenza nacque a Terlizzi, in Puglia, nel novembre del 1731. Come racconta N. Giangregorio nella biografia “Michele Sarcone”, della sua famiglia d’origine non si sa nulla: venne abbandonato da bambino dietro la Chiesa di S. Maria dei Minori Osservanti, dove venne raccolto da alcuni frati del vicino convento.
Furono loro a crescerlo, ad accudirlo e ad insegnargli i primi rudimenti di grammatica, matematica, latino e musica: tutto ciò di cui un giovane del tempo aveva bisogno per una cultura di base. Nel frattempo, Michele decise di cambiare il cognome “Piacenza” in “Sarcone”, forse per tagliare di netto i legami con la famiglia che l’aveva rifiutato.
I monaci, colpiti dalla predisposizione del giovane per le scienze naturali finanziarono la sua iscrizione alla facoltà di Medicina della Federico II di Napoli. Si laureò a soli 23 anni nel 1754, ma questa sua precocità segnò anche un inizio fallimentare della sua carriera.
Fece subito domanda per ottenere una cattedra, ma quel giovane Michele Sarcone, orfano pugliese, non aveva amicizie importanti e non si era fatto conoscere negli ambienti importanti per ambire ad un simile posto. Rifiutato, fu costretto a cercare maggior fortuna in provincia ed esercitò la professione di medico a Sessa Aurunca.
Qui, dopo qualche anno di attività, conobbe il vaiolo nel modo peggiore possibile: nel 1758 una violenta epidemia si diffuse nella zona ed uccise i suoi due figli. Distrutto dal dolore tornò a Napoli con l’obiettivo di impedire che simili tragedie si perpetrassero e mettere la parola fine alle epidemie.
Intanto, l’intero regno era in fermento per l’incoronazione di Ferdinando IV a soli 8 anni. Fra i ministri ed i consulenti di Sua Maestà c’era Bernardo Tanucci, che iniziò subito a prodigarsi per cambiare dalle fondamenta la medicina del tempo: per lui i medici si comportavano più come astrologi curando i pazienti senza basarsi su reali analisi.
Michele Sarcone trovò, quindi, una Napoli diversa e decisamente più aperta a ricerca e talento. Divenne medico militare nel 1760 e poco tempo dopo venne nominato direttore dell’ospedale militare della Trinità. Grazie a questa esperienza Sarcone riuscì a sviluppare il suo metodo di analisi, dando importanza all’osservazione di ogni caso clinico ed alla ricerca di causa ed effetto di ogni sintomo.
Il suo primo trattato pratico scientifico fu il risultato di quegli anni, “Istoria ragionata dei mali osservati in Napoli nell’intero anno 1764”, e, non a caso, lo dedicò proprio al Tanucci.
Lo studioso Francesco Babudri descrisse così l’importanza del trattato: “Egli ebbe chiaro concetto che ogni contagio fosse un “quid” vivente dopo i profondi suoi studi sulla epidemiologia, nella quale branca lasciò più libri. Così studiò a fondo il vaiolo, spianando la via della vaccinazione di Jenner. Le sue celebri osservazioni sui mali a Napoli sono un capolavoro in cui il Sarcone mostra la sua tempra di batteriologo e insieme di filosofo, che doveva concepire i bacilli come esseri viventi”.
Il modo con cui il medico affrontò l’epidemia di vaiolo che si abbatté sulla città nel 1768 e gli studi che ne derivarono vennero utilizzati da Edward Jenner, citato da Babudri, per creare il vaccino contro il letale virus.
I suoi progressi medici e scientifici, però, attirarono su di lui l’invidia ed i rancori dei colleghi napoletani e fu costretto a trasferirsi a Roma nel 1770. Anche qui trovò un ambiente chiuso e medici incompetenti che nemmeno riuscivano a comprendere i suoi progressi.
Ne “Il Caffè” Sarcone denunciò questa situazione con satira ed amarezza e questo, anche stavolta, lo costrinse ad abbandonare la città. A Napoli, intanto, anche Tanucci era decaduto a causa di intrighi di palazzo e maldicenze. Il medico si trovò quindi nuovamente solo, in un ambiente ostile, allontanato dai colleghi e dai salotti illustri.
Questo non gli impedì di continuare le ricerche, anzi: nel 1783 venne nominato capo della commissione per le ricerche scientifiche riguardo al terremoto che, in quell’anno, aveva devastato la Calabria. Inoltre la sua opera del 1787, “Scrittura medico-legale”, segnò la nascita della moderna medicina legale, cioè quella branca di medicina che con analisi sui cadaveri risale alla causa del decesso ed ai sintomi pregressi.
Il suo approccio scientifico e rivoluzionario alla professione, la ricerca costante e le doti nella comprensione di sintomi e malattie gli valsero l’appellativo di “Ippocrate Napoletano” in onore del greco padre della medicina a cui, ancora oggi, i futuri medici si votano in un solenne giuramento.
C’è dell’altro, però: altra cosa che lega Michele Sarcone ad Ippocrate ed al suo giuramento è stata la totale devozione ai pazienti, una missione che portò il medico incontro alla sua stessa morte.
Lo storico e biografo A. Casarini scrisse che: “Fu precisamente al ritorno da un viaggio faticoso a Sessa, ove, nonostante i rigori della stagione invernale, si era rigorosamente recato in consulto per visitare un amico gravemente infermo, che fu colto da polmonite.” Tornato a Napoli morì dopo pochi giorni di malattia il 25 gennaio del 1797 a sessantasei anni.