“Fa’ ‘o bravo, si no vene’ o mammone”. Questa frase ha traumatizzato numerose generazioni poiché a tutti i bambini è stata fatta almeno una volta una simile minaccia. Oggi il “Mammone” è stato sostituito dal temibile “Uomo nero”, ma anche se il nome cambia, la paura che scaturisce nei piccoli è sempre la stessa.
Ma perché questo essere che non è stato mai visto da anima viva può essere usata come arma di ricatto anche dai più angelici genitori? Chi è questo spauracchio che rovina anche i sogni più beati? Se si legge un dizionario dell’Ottocento il Mammone è un termine di origine siriaca che indica il falso idolo delle ricchezze e il demonio. I vizi che lo alimentano sono la cupidità e l’avarizia. Ma molto probabilmente, le mamme di una volta non si riferivano direttamente al demonio, ma piuttosto a una creatura magica nata dall’unione del gatto, animale che nel Medioevo si pensasse appartenere a Satana, e il Mammone, il diavolo appunto.
Questa terrificante bestia appare in numerose fiabe della tradizione popolare napoletana. Prima fra tutte “Lo cunto de li cunti”, conosciuto anche come “Pentamerone”, di Giambattista Basile. Nel racconto “La pulce” lo scrittore campano scrive: “Quando la notizia si fu diffusa, arrivò moltissima gente da ogni parte del regno, anche da lontanissimo, per partecipare a questa gara e tentare la sorte: chi diceva che era la pelle di un gatto mammone, chi di una lince, chi di un coccodrillo, chi di un animale e chi di un altro, ma nessuno indovinava”.
A differenza di altre creature fantastiche il Mammone può essere attribuito anche a un personaggio realmente esistito: Gaetano Coletta detto appunto “Mammone”. Dopo la nascita della Repubblica Napoletana, nel 1799, non furono pochi i briganti che scelsero di combattere a fianco dell’esercito dei Borbone per cacciare i francesi. Fra questi vi era il figlio di un mugnaio di Sora, nato nel 1756, che si distinse per la sua ferocia. Il giovane fu responsabile della morte di più di quattrocento persone. Alexandre Dumas padre nel suo romanzo “La Sanfelice” scrive: “Il ferito rimase in piedi, ma oscillando come se stesse per cadere. Gaetano Mammone gettò la scure, balzò su di lui, con una mano lo tenne appoggiato al muro, con l’altra lacerò – senza che don Clemente avesse la volontà o la forza di opporvisi – la veste da camera e la camicia di batista, gli denudò il petto, strappò via il coltello piantato nella gola e attaccò avidamente le labbra alla ferita, da cui sgorgava un lungo filo scarlatto”. Vincenzo Cuoco nel suo “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli” lo accusa addirittura di antropofagia: “Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl’infelici che faceva scannare”.
Anche Benedetto Croce gli dedica qualche riga dando informazioni sulla sua morte: “Il terribile Gaetano Mammone, il più efferato tra i capi realisti del 1799 (quel tale che soleva adornare le mense dei suoi banchetti, in cambio di fiori, di teste recise e sanguinanti di giacobini) morì, in Napoli, nel 1802, nelle carceri della Vicaria, sotto l’accusa di aver tramato coi giacobini un’insurrezione contro il re”. Sembra quindi che da borbonico, alla fine dei suoi giorni Coletta fosse passato dalla parte opposta. Ma aldilà della verità storica, che forse non si conoscerà mai, è meglio continuare a dire ai bambini che il Mammone è un gattone terrificante, e per quanto faccia paura è pur sempre una creatura fantastica.
Fonti: “Dizionario Delle Origini. Invenzioni E Scoperte”, III Vol., Milano, Bonfanti, 1830; Benedetto Croce, “La rivoluzione napoletana del 1799”, Napoli, Bibliopolis, 1998; Vincenzo Cuoco, “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli”, Milano, Sonzogno, 1806.