Spesso la vita di una persona è in una fase statica nella quale nulla varia, nulla migliora ed il malcapitato si trova in un ciclo costante e sempre identico di ripetizione. Un’amaro detto napoletano riassume questa drammatica situazione con “Ogne gghiuorno è taluorno”: che tradotto letteralmente significa “ogni giorno è una continua ripetizione”. Così come la vita, sono tante le cose che possono trasformarsi in un “taluorno“.
L’espressione, a Napoli, viene, ormai, utilizzata per qualunque situazione fastidiosa che si manifesta con una sorta di continuità: ad esempio, le tasse possono essere tranquillamente definite “taluorno“, oppure una situazione lavorativa difficile o dei cantieri sempre aperti che immancabilmente aprono i lavori alle 7 del mattino. Anche le persone possono arrivare a diventare una ripetizione costante e fastidiosa, specialmente quando ci si mettono d’impegno. “Ogne gghiuorno è taluorno” viene utilizzato spessissimo per redarguire qualcuno che fa di tutto per infastidire o che continua imperterrito a parlare di un argomento poco gradito. In questo contesto il detto ha un significato molto simile a “nun sfruculia’ ‘a mazzarella ‘e San Giuseppe”, di cui abbiamo già parlato.
Adesso sappiamo quando viene utilizzato e perchè, ma non cosa significa davvero. Abbiamo detto che “taluorno” implica una ripetizione fastidiosa, ma da dove deriva questa parola? L’origine si radica una tradizione molto antica, risalente alle prime civiltà umane: il funerale. In qualunque epoca ed in qualunque parte del mondo i riti funebri hanno sempre rappresentato un modo per accompagnare il defunto verso l'”aldilà” ed unirsi al dolore dei sui parenti. In molte culture, come in quella Greca ed in quella Romana, durante i funerali alcune donne piangevano e cantavano una litania costante e ripetitiva e questa tradizione che si è tramandata fino a pochi secoli fa anche in Italia. In Puglia questo rito veniva chiamato “lu taluèrno”, diventando poi “taluorno” in Campania.
Il primo utilizzo ufficiale della parola, in senso metaforico, come “ripetizione” lo troviamo ne “Lo Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile. Nell’opera troviamo già anche il detto “ogne gghiuorno è taluorno” e, quindi, da supporre che nel XVI sec., periodo in cui scrisse l’autore, il termine era già entrato nell’uso quotidiano dei napoletani.