La lingua napoletana è colma di termini ed espressioni esilaranti che vantano un’antica storia. Ne è un esempio la parola zòza: un vocabolo ormai di utilizzo comune che, come tanti altri, proviene dalla lingua francese e che, in questo caso, trae le sue origini dal tardo settecento.
Il termine zòza può essere tradotto in italiano come schifezza e, a seconda dell’espressione nella quale è inserito o, verso chi o cosa viene rivolto, può assumere diversi significati.
Nel caso in cui si riferisca ad una cosa, indica qualsiasi realtà che sia ripugnante e nauseabonda come l’acqua sporca accumulata in un angolo o, addirittura, una pietanza dal sapore disgustoso e sciapito: “Che zòza” e “Sti maccarune so’ na zòza”; invece, se riferito ad una persona, denota la sporcizia fisica (“Te sie fatto na zòza!”) o, ancor peggio, viene utilizzato come espressione offensiva per indicare colui/colei che è moralmente ributtante: “Sie na zoza!”.
Il termine può, per di più, essere ricondotto, non alterando il significato attribuitogli dal vocabolario napoletano, ad una parola toscana: zòzza, che indica una particolare bibita ottenuta mescolando liquori scadenti.
Come già accennato, la parola zòza risale alla seconda metà del ‘700, quando Napoli fu invasa da un gran numero di cuochi francesi in occasione delle nozze della regina Maria Carolina d’Austria con re Ferdinando IV di Borbone.
Il compito dei cuochi professionisti, chiamati in francese monsieur e soprannominati munzù dal popolo partenopeo, era quello di “francesizzare” quindi elevare la semplice cucina partenopea caratterizzata da semplici e veloci sughi a base di pomodoro.
Le loro raffinate ricette, in particolar modo le salse francesi a base di burro, latte, farina e talvolta uova non incontrarono il favore dei napoletani, ad eccezione del surtout, meglio conosciuto come sartù di riso.
Per questa ragione le sauces tanto amate dal popolo francese, furono ribattezzate, o meglio ne fu storpiata la pronuncia sòs, con il nome zòza.
Fonti
www.dialettando.com